mercoledì 4 maggio 2016

Il ladro di bambini (Il ladro di bambini, 1992) di Gianni Amelio

Antonio, carabiniere calabrese, riceve l’incarico di accompagnare due bambini, Rosetta di undici anni e suo fratello Luciano di nove, da Milano ad un orfanotrofio di Civitavecchia, che però si rifiuta di accoglierli, provocando l’allungamento del viaggio fino alla Sicilia. I due piccoli provengono da una famiglia problematica di emigrati siciliani, la cui madre (senza marito) è stata arrestata perché costringeva Rosetta a prostituirsi pur di riuscire a sbarcare il lunario. Tra Antonio e i bambini si stabilisce un tenero rapporto e l’uomo, a causa delle diverse digressioni di percorso compiute durante il viaggio allo scopo di compiacerli, rischia persino l’accusa di rapimento, non avendo provveduto ad avvisare il suo comando. Eccellente dramma di denuncia sociale, diretto da Amelio con lucido rigore e con toccante pudore, dando voce all’evoluzione del rapporto tra il carabiniere e i suoi piccoli compagni di viaggio, che procede per passaggio osmotico di sentimenti e di emozioni. Rosetta e Luciano, la cui innocenza è stata precocemente rubata dai traumi di una vita aberrante che la crudeltà dei grandi ha riservato loro, riusciranno, almeno in parte, a riappropriarsi dell’infanzia grazie ai giorni vissuti con Antonio, figlio sensibile di quel Sud capace di fondere all’unisono incredibile tenerezza e brutale violenza. Il viaggio attraverso l’Italia e i suoi tanti volti assume i contorni del romanzo di formazione, alla ricerca di quella purezza perduta che può essere ritrovata tra la gente semplice, fiera portatrice di un’umile dignità e ancora capace di gesti spontanei, non macchiati dal vizio dell’interesse. Evitando accuratamente tutte le trappole della retorica, del populismo e del sentimentalismo, il regista ricorre a una messa in scena “neorealistica” (per la quale molti hanno evocato De Sica e Rossellini), densa di sfumature psicologiche, di etica civile e d’indignazione sociale. L’intreccio volutamente esile si espande e si contrae, come una fisarmonica, per mostrare le mille contraddizioni di un’Italia sospesa tra bellezza e degrado; dai quartieri dormitorio delle periferie del Nord, in cui l’integrazione degli emigranti meridionali non è mai realmente avvenuta, alla decadenza romana, dalle costruzioni abusive di una Calabria assolata, all’aspro paesaggio siciliano. Entrando sempre in punta di piedi nelle vite dei personaggi principali, l’autore ne evidenzia lo sradicamento esistenziale ma ne rispetta il disagio morale, metaforicamente rappresentato dai pesanti bagagli che i tre sono costretti a trascinarsi dietro. La più grande abilità di Amelio si evidenzia nelle scene di silenzio, in cui dà voce ai volti, agli sguardi, ai corpi, con un senso lirico di magistrale potenza evocativa. Mai consolatorio, ora crudo ora poetico, questa grande opera di denuncia si avvale delle straordinarie interpretazioni dei tre protagonisti (Enrico Lo Verso e i piccoli Valentina Scalici e Giuseppe Ieracitano) e vanta diverse sequenze memorabili: il bagno in mare, Rosetta che pone domande di catechismo alla futura comunicanda o che recita il Rosario in attesa del prossimo cliente, il pranzo calabrese. E’ il miglior film dell’autore e venne premiato al Festival di Cannes con il Gran Premio Speciale della Giuria.

Voto:
voto: 4,5/5

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