venerdì 6 maggio 2016

Lola (Lola, 1981) di Rainer Werner Fassbinder

Nella Germania degli anni ’50 Lola è la prostituta più richiesta di un bordello di provincia gestito dall’infido Schuckert, pappone corrotto a cui la donna è morbosamente legata. L’arrivo in città di un funzionario integerrimo sembra mettere fine alla losca attività, ma la procace Lola riesce a sedurlo e a farsi sposare, pur senza mai interrompere la sua tresca con Schuckert. Questo melodramma sordido, colmo di umori acidi ma anche di grottesca ironia, è una spietata requisitoria contro la borghesia tedesca dell’immediato dopoguerra, ritratta dall’autore come sconcia, amorale e approfittatrice. Il chiaro messaggio di quest’opera fin troppo eccessiva e rancorosa è che sesso e denaro sono intimamente connessi e regolano le azioni umane. Il ritratto di Lola, manipolatrice scaltra che usa il suo fascino erotico per sopravvivere a forza di espedienti e corruzione, si sovrappone idealmente a quello della classe dirigente che l’autore intende bersagliare ed è l’ennesimo intenso affresco di figura femminile forte, capace di determinare i destini altrui, nella ricca filmografia di Fassbinder. Il tono ben più scanzonato di quest’opera, rispetto al tipico pessimismo glaciale fassbinderiano, ne indebolisce l’impianto di fondo, rendendola più popolare e meno lucida nella sua denuncia dell’utilitarismo tedesco. Inoltre i rapporti tra sentimento e opportunismo, sesso e potere sono già stati ampiamente sviscerati nei film precedenti del regista e con risultati sicuramente più apprezzabili. Nonostante si tratti di un film indubbiamente “minore”, gli elementi d’interesse sono comunque presenti e numerosi: dall’affascinante ricostruzione d’epoca alla messa in scena ipnotica, dalle atmosfere ammalianti alle buone interpretazioni del cast, in cui segnaliamo l’efficace prova di un’algida Barbara Sukowa, affiancata da Armin Mueller-Stahl e Mario Adorf.

Voto:
voto: 3,5/5

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