Nella Germania degli anni ’50 Lola è la
prostituta più richiesta di un bordello di provincia gestito dall’infido Schuckert,
pappone corrotto a cui la donna è morbosamente legata. L’arrivo in città di un
funzionario integerrimo sembra mettere fine alla losca attività, ma la procace
Lola riesce a sedurlo e a farsi sposare, pur senza mai interrompere la sua
tresca con Schuckert. Questo melodramma sordido, colmo di umori acidi ma anche
di grottesca ironia, è una spietata requisitoria contro la borghesia tedesca
dell’immediato dopoguerra, ritratta dall’autore come sconcia, amorale e
approfittatrice. Il chiaro messaggio di quest’opera fin troppo eccessiva e
rancorosa è che sesso e denaro sono intimamente connessi e regolano le azioni
umane. Il ritratto di Lola, manipolatrice scaltra che usa il suo fascino
erotico per sopravvivere a forza di espedienti e corruzione, si sovrappone
idealmente a quello della classe dirigente che l’autore intende bersagliare ed
è l’ennesimo intenso affresco di figura femminile forte, capace di determinare
i destini altrui, nella ricca filmografia di Fassbinder. Il tono ben più
scanzonato di quest’opera, rispetto al tipico pessimismo glaciale fassbinderiano,
ne indebolisce l’impianto di fondo, rendendola più popolare e meno lucida nella
sua denuncia dell’utilitarismo tedesco. Inoltre i rapporti tra sentimento e
opportunismo, sesso e potere sono già stati ampiamente sviscerati nei film
precedenti del regista e con risultati sicuramente più apprezzabili. Nonostante
si tratti di un film indubbiamente “minore”, gli elementi d’interesse sono comunque
presenti e numerosi: dall’affascinante ricostruzione d’epoca alla messa in
scena ipnotica, dalle atmosfere ammalianti alle buone interpretazioni del cast,
in cui segnaliamo l’efficace prova di un’algida Barbara Sukowa, affiancata da
Armin Mueller-Stahl e Mario Adorf.
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