venerdì 6 maggio 2016

Veronika Voss (Die Sehnsucht der Veronika Voss, 1982) di Rainer Werner Fassbinder

Veronika Voss è una ex diva dell’UFA (il cinema di propaganda nazista) che vive, ormai dimenticata da tutti, nel ricordo ossessivo del suo passato di celebrità. Dopo l’incontro con il giornalista Robert Krohn, con cui inizia una storia d’amore, la sua vita sembra migliorare, ma l’uomo si rende presto conto che dietro gli improvvisi mutamenti d’umore di Veronika si nasconde un terribile segreto. Verrà così a scoprire che la donna è prigioniera della sadica dottoressa Katz, una crudele neurologa che la tiene in schiavitù sfruttando la sua dipendenza dalle droghe e che intende appropriarsi del suo ingente patrimonio. Malinconico dramma neoespressionista, girato con una stupefacente fotografia spettrale in bianco e nero che rimarca il senso nostalgico e tragico della vicenda, ispirato al vero caso dell’attrice Sybille Schmitz, morta suicida nel 1955. Tra echi di Viale del Tramonto, fantasmi del passato, suggestioni del cinema muto e atmosfere noir, questo ennesimo straordinario melodramma masochistico sui rapporti di potere è la degna chiosa della tetralogia del regista sulla Germania postbellica attraverso quattro emblematiche vicende di donne. L’ambiguo gioco tra realtà e finzione, vita e arte, sottolinea il paradossale rapporto di Fassbinder con il mezzo cinematografico. Un rapporto fatto di amore e di critica nei confronti di uno strumento così potente, che ambisce ad essere fabbrica dei sogni ma che è diventato sempre di più una riproduzione del mondo reale in chiave ridotta e distorta. Immerso in un’atmosfera di tetro misticismo, il film evoca le atroci immagini della sopraffazione nazista dei lager, ma l’autore stabilisce chiaramente un’immediata separazione rispetto al mondo di morbosità che rappresenta, utilizzando la tecnica dello straniamento e del distacco critico, impedendo così al pubblico di cadere nella fascinazione o nel disgusto. Le crudeli stanze della dottoressa Katz, agghiacciante allegoria di un male assoluto che non può essere mai sconfitto in maniera definitiva, aprono inquietanti visioni sul lato oscuro del popolo germanico, come una sorta di Auschwitz nascosta tra le pieghe del consumismo. Memorabile e inquietante il tragico finale, soprattutto grazie al sottofondo sonoro che lo accompagna (la benedizione “urbi et orbi” del papa mescolata a note jazz), quasi macabramente profetico rispetto all’imminente morte prematura del regista. E anche per questo molti hanno trovato un ulteriore motivo per stabilire una forte connessione di affinità artistica, di percorso umano e di destino esistenziale, tra Fassbinder e Pasolini. Il film fu premiato con l’Orso d’oro al Festival di Berlino 1982.

Voto:
voto: 4,5/5

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