martedì 3 maggio 2016

Le invasioni barbariche (Les invasions barbares, 2003) di Denys Arcand

Il cinquantenne Rémy, intellettuale logorroico, donnaiolo impenitente ed edonista incallito, è malato terminale di cancro e trascorre gli ultimi giorni che gli restano da vivere in compagnia di tutte le persone che gli sono care: il figlio Sébastien, broker di successo e tutto d’un pezzo, la giovane fidanzata, la ex moglie e tutta la goliardica schiera di vecchi amici e compagni di “merende”. Sébastien, nonostante le enormi differenze caratteriali e la distanza che ha sempre avuto con il padre, si adopera per rendergli piacevole l’attesa del trapasso. Così gli organizza la formidabile rimpatriata di persone care al suo capezzale e arriva persino a procurarsi droghe pesanti per alleviarne le sofferenze causate dalla malattia. Formidabile commedia cinica di Denys Arcand, sospesa abilmente tra ironia e amarezza, comico e tragico, disincanto e commozione. L’autore canadese riprende le tematiche, le atmosfere ed alcuni personaggi del suo precedente film Il declino dell'impero americano (1987), di cui quest’opera costituisce un seguito naturale che ne consolida il caustico discorso sulla fine degli ideali utopici alla base del capitalismo occidentale. E’ un film d’attori, corale, dialogato, impudente, amaro, intelligente, crudele, a tratti irresistibile nella sua grottesca audacia politicamente scorretta. Interamente costruito sull’attesa della morte (quella del protagonista e quella del sistema economico filo americano con cui l’autore stabilisce una connessione a filo doppio), è anche, di contro, un esuberante inno alla vita, alla gioia, alla dignità del dolore e al romanticismo dei rapporti umani, fatti di passioni e di scontri come quello (proficuo) tra un padre e un figlio che rappresentano due opposte allegorie esistenziali: l’una basata sulla carriera e sui soldi (Sébastien) e l’altra sul godimento carnale dei piaceri terreni (Rémy). Da questo conflitto, che è il cuore del film, si diparte la dissacrante analisi politica del regista che traccia un disilluso bilancio dell’inesorabile declino occidentale, quella parte di mondo benestante che divide l’umanità in cittadini omologati (tutti coloro che detengono un passaporto americano) e clandestini stranieri (i nuovi barbari a cui allude il titolo provocatorio). L’inarrestabile agonia culturale, morale, ideologica ed economica della società capitalistica nata dal “Sogno americano” e fondata su profitto, liberismo e materialismo, si sovrappone a quella, burlesca e chiassosa, pur nella sua tragicità, del pittoresco protagonista, interpretato con consumato mestiere da Remy Girard. Altri elementi del cast da segnalare sono Stephane Rousseau, Marie-Josée Croze e Marina Hands. Il film ha avuto un grande successo di pubblico e critica ed ha vinto numerosi premi, tra cui l’Oscar al miglior film straniero e due importanti riconoscimenti al Festival di Cannes: migliore sceneggiatura e migliore attrice (Marie-Josée Croze). La brillantezza dei dialoghi, il carisma degli attori, l’atmosfera da allegra apocalisse e la precisione di una sceneggiatura solida ci accompagnano in questo indimenticabile viaggio un po’ cinico e un po’ folle, in cui si ride piangendo e si riflette con buonumore, tra una lacrima e una risata. E’ una delle più riuscite commedie del nuovo millennio.

Voto:
voto: 4,5/5

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