mercoledì 4 maggio 2016

Vito e gli altri (Vito e gli altri, 1991) di Antonio Capuano

A Napoli, durante la notte di Capodanno, un uomo impazzisce e massacra moglie e figlio, risparmiando inspiegabilmente l’altro, il dodicenne Vito. Il bambino viene affidato ad una zia, la cui famiglia si occupa della fabbricazione di fuochi d’artificio illegali, che lo avvia allo spaccio della droga, utilizzandolo come corriere insieme alla propria figlia. Vito cresce così in un ambiente insano e degradato, dove compie tutta la trafila del crimine, dai furti agli scippi, dalle rapine agli stupefacenti, fino all’omicidio su commissione, grazie al quale diventerà un sicario della camorra. Straordinario esordio registico di Antonio Capuano, da molti indicato come l’erede naturale di Vittorio De Sica, girato a basso costo e diretto con stupefacente rigore espressivo, a metà strada tra il documentario cronachistico, il rude affresco sociale e l’apologo antinaturalistico. Nudo e crudo nel suo spietato realismo narrativo, questo scioccante film di denuncia è forse la più grande, la più veemente e la più importante requisitoria sull’infanzia rubata che il cinema italiano abbia mai prodotto. Lo stile asciutto e la messa in scena scarna fanno pensare al primo Pasolini, quello che descriveva la dura vita delle borgate romane in Accattone, ma qui manca del tutto lo sguardo pietoso che il regista rivolgeva ai suoi protagonisti dannati, sostituito da un tono glaciale che consente un maggiore scandaglio critico nella sordida realtà dei ghetti napoletani, dove lo stato non esiste, la morale è solo una parola e la delinquenza è l’unica possibile risposta al disagio sociale. La forza maggiore del film risiede nella sua imprevedibilità, nel suo continuo spiazzare (e sconvolgere) lo spettatore attraverso una sequela di istantanee fulminanti, con l’utilizzo di flashback e salti narrativi che mescolano insieme abilmente l’immaginario del protagonista al suo tragico percorso nel mondo criminale. La sequenza sulla spiaggia o quella della rapina alla vecchietta, in montaggio alternato con i ragazzi che ricevono l’ostia dal prete, sono solo alcuni dei momenti memorabili di una pellicola che, pur nella sua angosciante tragicità, trabocca di talento visionario. Urticante e sregolato, libero e molesto, spiazzante e coerente, questo film viscerale consegna la sua tragica e tetra bellezza al servizio di una denuncia che è prima etica e poi sociale, ed ha il sapore acre dell’ingiustizia suprema che la corruzione del mondo dispensa ai piccoli sfortunati figli di famiglie problematiche, innocenti a prescindere, vittime tragiche, per i quali l’indignazione non sarà mai abbastanza. Quindici anni prima di Roberto Saviano, questa sconcertante pellicola, purtroppo sconosciuta al grande pubblico, ha mostrato al pubblico il vero volto della camorra, attraverso gli occhi vivaci dei suoi giovanissimi adepti, figli maledetti di un meridione barbaro e imperdonabile.

Voto:
voto: 4,5/5

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