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Napoli, durante la notte di Capodanno, un uomo impazzisce e massacra moglie e
figlio, risparmiando inspiegabilmente l’altro, il dodicenne Vito. Il bambino
viene affidato ad una zia, la cui famiglia si occupa della fabbricazione di
fuochi d’artificio illegali, che lo avvia allo spaccio della droga,
utilizzandolo come corriere insieme alla propria figlia. Vito cresce così in un
ambiente insano e degradato, dove compie tutta la trafila del crimine, dai furti
agli scippi, dalle rapine agli stupefacenti, fino all’omicidio su commissione,
grazie al quale diventerà un sicario della camorra. Straordinario esordio
registico di Antonio Capuano, da molti indicato come l’erede naturale di
Vittorio De Sica, girato a basso costo e diretto con stupefacente rigore
espressivo, a metà strada tra il documentario cronachistico, il rude affresco
sociale e l’apologo antinaturalistico. Nudo e crudo nel suo spietato realismo
narrativo, questo scioccante film di denuncia è forse la più grande, la più
veemente e la più importante requisitoria sull’infanzia rubata che il cinema
italiano abbia mai prodotto. Lo stile asciutto e la messa in scena scarna fanno
pensare al primo Pasolini, quello che descriveva la dura vita delle borgate romane
in Accattone,
ma qui manca del tutto lo sguardo pietoso che il regista rivolgeva ai suoi
protagonisti dannati, sostituito da un tono glaciale che consente un maggiore
scandaglio critico nella sordida realtà dei ghetti napoletani, dove lo stato
non esiste, la morale è solo una parola e la delinquenza è l’unica possibile
risposta al disagio sociale. La forza maggiore del film risiede nella sua imprevedibilità,
nel suo continuo spiazzare (e sconvolgere) lo spettatore attraverso una sequela
di istantanee fulminanti, con l’utilizzo di flashback e salti narrativi che
mescolano insieme abilmente l’immaginario del protagonista al suo tragico
percorso nel mondo criminale. La sequenza sulla spiaggia o quella della rapina
alla vecchietta, in montaggio alternato con i ragazzi che ricevono l’ostia dal
prete, sono solo alcuni dei momenti memorabili di una pellicola che, pur nella
sua angosciante tragicità, trabocca di talento visionario. Urticante e
sregolato, libero e molesto, spiazzante e coerente, questo film viscerale
consegna la sua tragica e tetra bellezza al servizio di una denuncia che è
prima etica e poi sociale, ed ha il sapore acre dell’ingiustizia suprema che la
corruzione del mondo dispensa ai piccoli sfortunati figli di famiglie
problematiche, innocenti a prescindere, vittime tragiche, per i quali
l’indignazione non sarà mai abbastanza. Quindici anni prima di Roberto Saviano,
questa sconcertante pellicola, purtroppo sconosciuta al grande pubblico, ha
mostrato al pubblico il vero volto della camorra, attraverso gli occhi vivaci
dei suoi giovanissimi adepti, figli maledetti di un meridione barbaro e
imperdonabile.
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