Nel 1943 Maria sposa Hermann, sergente
dell’esercito tedesco, poco prima che questi parta per il fronte russo. Due
anni dopo il soldato viene dato per disperso e la donna, per sopravvivere alla
miseria del primo dopoguerra, si prostituisce e diventa l’amante di un nero
americano. Al ritorno di Hermann scoppia una lite furibonda tra i due uomini e
Maria uccide il suo amante per difendere il marito. Hermann si assume la colpa
del delitto e finisce in carcere per un lungo periodo. Maria si lega allora al
ricco industriale Oswald e dimostra un innato talento per gli affari
consentendo all’uomo di aumentare enormemente le sue ricchezze. Ma il vero
scopo della donna è quello di arricchirsi per riuscire a realizzare il proprio
desiderio di felicità e di benessere insieme al marito, una volta che questi
uscirà di prigione. Capolavoro assoluto di Fassbinder e del cinema tedesco, è
il miglior film del grande autore bavarese che, sotto l’egida di un melodramma
passionale e struggente che si snoda attraverso l’arco di dieci anni, realizza
una smisurata allegoria sulla Germania, sospesa tra dramma e sarcasmo,
sentimento e crudeltà, cinismo e dolore. Le vicende di Maria, straordinariamente
interpretata da Hanna Schygulla (attrice “feticcio” del regista) nella più
grande performance della sua
carriera, sono l’evidente parabola metaforica del così detto “miracolo” tedesco
dalla disfatta bellica alla sopravvivenza disperata, avvenuta utilizzando
opportunismo e disponibilità, fino al clamoroso boom economico. Simbolica è
anche la data in cui termina il film, il 1954, nel giorno della finale dei
campionati mondiali di calcio tra la Germania e la grande Ungheria, incredibilmente
battuta dagli indomiti tedeschi dati per sfavoriti dal pronostico generale. Il
finale tragico, messo in stridente contrasto con la gioia della vittoria
sportiva, sta a dimostrare che solo i danni materiali possono essere riparati,
mentre quelli interiori sono spesso irreversibili. La magnificenza del film
risiede nel suo armonioso equilibrio tra la metafora sociopolitica e il
fiammeggiante melodramma, chiaramente ispirato a Douglas Sirk (eterno modello
per il regista tedesco), filtrato attraverso la più problematica sensibilità
europea. La messa in scena iperrealista si immola sull’altare di un vivido
intimismo tragico che permea l’intera pellicola, la quale si pone come una summa di ammirevole maturità di tutti i precedenti
melodrammi fassbinderiani. La superba ricostruzione storico ambientale, l’alta
densità espressiva e l’impaginazione sontuosa concorrono alla riuscita del
risultato finale di straordinario valore artistico. Tra le tante sequenze
memorabili vanno citate il matrimonio sotto il bombardamento, il ritorno di Hermann
dalla guerra, gli stratagemmi di Maria nella conduzione degli affari per conto
di Oswald ed il celebre epilogo. Lo splendido personaggio di Maria Braun è il
primo delle quattro figure femminili (le altre sono Lilì Marlene, Lola e
Veronika Voss) attraverso cui Fassbinder realizzerà la sua quadrilogia
allegorica sulla Germania.
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