Petra von Kant è un’affermata stilista di
Brema, intelligente, raffinata, separata e con figlia adolescente. La donna
vive con Marlene, la sua instancabile factotum a lei totalmente devota fino alle
soglie del servilismo. Un giorno Petra conosce Karin, bella e povera, e
s’innamora perdutamente di lei, venendo apparentemente ricambiata. Dopo lo
sfiorire della passione iniziale il rapporto tra le due donne si trasforma e
Karin rivela il suo volto crudele, trattando Petra con cinico sadismo, proprio
come lei è solita fare con Marlene. Alla fine Petra sarà abbandonata da
entrambe. Splendido dramma da camera di Fassbinder, tratto da una pièce
teatrale composta da lui stesso e adattata fedelmente per il grande schermo con
la medesima impostazione scenografica: la vicenda è ambientata in un’unica
stanza ed è totalmente basata sui dialoghi tra le protagoniste. E’ il più
doloroso e autobiografico tra i primi film del grande autore tedesco, una
potente tragedia strindberghiana dalla messa in scena glaciale, un melodramma
sadomasochistico e claustrofobico con echi alla Douglas Sirk e un modello
magistrale su come trasporre un’opera teatrale per il cinema. Morboso, austero,
agghiacciante, è una spietata messa a nudo dei rapporti di potere travestiti da
relazioni erotiche, diretto con stile asciutto e interpretato con magnifica
intensità. Fedele alla lezione hegeliana, secondo cui ogni rapporto tra due
persone può essere letto in termini di servo/padrone, questo kammerspiel si genuflette al melodramma cercando
di estrapolare l’oggettività presente nell’autobiografismo tipico dell’autore. La
manieristica adesione all’estetica teatrale si esplicita attraverso la recitazione
innaturale, le pose inverosimili delle attrici, il cromatismo esasperato,
l’interferenza invasiva degli oggetti scenici. Tutto questo ha fatto anche
parlare di apologia della messinscena, in cui la costante ricerca
dell’artificio diventa lo strumento del regista per arrivare al vero,
sfrondandolo di ogni velleità epica (in Fassbinder l’utilizzo forzato del kitsch ha sempre una chiara valenza
antiepica). Il letto costantemente al centro del proscenio è una sorta di
protagonista statico dell’opera; esso è il talamo, l’altare e il sepolcro dove
nascono, esplodono e muoiono le passioni. La strutturale circolare delle
vicende narrate (Petra alla fine si ritroverà nella situazione iniziale) relega
i personaggi all’immobilismo esistenziale, perché la recita della vita è sempre
ineluttabile nella poetica di Fassbinder. L’utilizzo geniale della profondità
di campo consente l’ampliamento figurativo degli spazi scenici ristretti e
riesce a rendere movimentata la non azione dell’opera, modificando di continuo
la prospettiva geometrica a seconda della relazione tra i personaggi in scena.
A questo suggestivo meccanismo di composizione introspettiva dello spazio,
concorrono (nuovamente) gli oggetti che sono, al tempo stesso, simboli oppure
ostacoli. Così una panca che si interpone tra le due amanti ne suggerisce la
distanza interiore e l’impossibilità di una reale simbiosi affettiva, o uno
specchio che riflette l’immagine demodé
di Petra (novella Norma Desmond) nei suoi abbigliamenti pomposi, diventa il
trucco registico per riuscire a filmare la coscienza fasulla della borghesia. E
ancora: il sesso maschile esibito in bella mostra al centro dell’eccentrica
tappezzeria intende sottolineare, con perfida ironia, la colpevole latitanza
del maschio. Le tre interpreti principali sono Margit Carstensen, Hanna
Schygulla e Irm Hermann. La bella colonna sonora, non originale, mescola
arditamente i Platters e Giuseppe Verdi, offrendo suggestioni di surreale
straniamento. Il film è uno degli indubbi capolavori di questo “autore tedesco che fa film tedeschi per un
pubblico tedesco” (parole sue).
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