mercoledì 11 maggio 2016

Marnie (Marnie, 1964) di Alfred Hitchcock

Marnie è una donna bella, fragile e problematica, affetta da diverse nevrosi. E’ infatti bugiarda, cleptomane e frigida, probabilmente a causa di un tragico trauma infantile. Durante uno dei suoi furti, con conseguente cambio d’identità, la donna viene riconosciuta da Mark, ricco e vedovo, che si è innamorato di lei e la pone davanti a un bivio: carcere o matrimonio. Con l’aiuto dell’uomo Marnie proverà ad affrontare il suo doloroso passato, tornando nella casa materna di Baltimora, alla ricerca della causa scatenante dei suoi conflitti interiori. Inquietante thriller psicologico del Maestro inglese, incompreso dal pubblico e dalla critica per via dei suoi contenuti morbosi che virano nel sadico. Probabilmente troppo estremo per i suoi tempi, viene solitamente considerato come un’opera di transizione, in ogni caso estranea rispetto al periodo d’oro dell’autore, che la critica ufficiale fa terminare l’anno prima, con il capolavoro Gli uccelli. E’ invece un film eccellente, sottovalutato e geniale nella sua ardita commistione tra romanticismo e perversione, tenuta insieme da un’atmosfera mistery di gran classe, che pervade la pellicola dalla prima all’ultima scena. Tra le tante sequenze straordinarie, voglio citare quella, elaboratissima, in cui Marnie, dopo un furto, si toglie le scarpe per non farsi sentire dalla donna delle pulizie. Una scena che rivela, ancora una volta, l’immenso talento di Hitchcock nella costruzione della suspense. Il regista avrebbe voluto Grace Kelly nel ruolo della protagonista ma l’attrice, già sposata con Ranieri, dovette rifiutare perché il marito riteneva disdicevole un suo ritorno sulle scene in un ruolo così audace. La scelta cadde allora sulla bionda Tippi Hedren, alla seconda collaborazione consecutiva con l’autore dopo quella de Gli uccelli, da molti già definita problematica. Stavolta, invece, il rapporto fu addirittura tumultuoso (si vocifera a causa del fatto che il regista, innamorato dell’attrice, intendesse controllare tutti gli aspetti della sua vita anche al di fuori dal set), al punto che i due si parlavano solo tramite intermediario. Anche con il protagonista maschile, l’aitante Sean Connery, al top del suo fascino e della sua fama (grazie ai successi della saga di 007), gli aneddoti non mancarono. Si dice infatti che Connery, temendo di dover interpretare un clone di James Bond, pretese di leggere in ogni dettaglio la sceneggiatura prima di accettare il ruolo. Hitchcock, visibilmente seccato, gli disse che neanche Cary Grant aveva accampato un simile richiesta, ottenendo in cambio la piccata risposta: “Io non sono Cary Grant!”. I punti deboli più evidenti di questo film da rivalutare sono il personaggio di Connery (scritto con approssimazione nella sua natura duale di affettuoso protettore e sadico bruto), il macchinoso finale e le artificiose scenografie (i fondali finti appaiono ormai troppo desueti e anche stridenti per un autore abitualmente tanto interessato alle innovazioni tecniche). Questo è l’ultimo film in cui Hitchcock e il leggendario compositore Bernard Herrmann hanno lavorato insieme, con l’intensa colonna sonora di Marnie si conclude uno dei più lunghi, famosi e proficui sodalizi artistici della storia del cinema.

Voto:
voto: 4/5

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