Marnie è una donna bella, fragile e
problematica, affetta da diverse nevrosi. E’ infatti bugiarda, cleptomane e
frigida, probabilmente a causa di un tragico trauma infantile. Durante uno dei
suoi furti, con conseguente cambio d’identità, la donna viene riconosciuta da
Mark, ricco e vedovo, che si è innamorato di lei e la pone davanti a un bivio:
carcere o matrimonio. Con l’aiuto dell’uomo Marnie proverà ad affrontare il suo
doloroso passato, tornando nella casa materna di Baltimora, alla ricerca della
causa scatenante dei suoi conflitti interiori. Inquietante thriller psicologico
del Maestro inglese, incompreso dal pubblico e dalla critica per via dei suoi
contenuti morbosi che virano nel sadico. Probabilmente troppo estremo per i
suoi tempi, viene solitamente considerato come un’opera di transizione, in ogni
caso estranea rispetto al periodo d’oro dell’autore, che la critica ufficiale
fa terminare l’anno prima, con il capolavoro Gli
uccelli. E’ invece un film eccellente, sottovalutato e geniale nella
sua ardita commistione tra romanticismo e perversione, tenuta insieme da
un’atmosfera mistery di gran classe,
che pervade la pellicola dalla prima all’ultima scena. Tra le tante sequenze
straordinarie, voglio citare quella, elaboratissima, in cui Marnie, dopo un
furto, si toglie le scarpe per non farsi sentire dalla donna delle pulizie. Una
scena che rivela, ancora una volta, l’immenso talento di Hitchcock nella
costruzione della suspense. Il regista avrebbe voluto Grace Kelly nel ruolo
della protagonista ma l’attrice, già sposata con Ranieri, dovette rifiutare
perché il marito riteneva disdicevole un suo ritorno sulle scene in un ruolo
così audace. La scelta cadde allora sulla bionda Tippi Hedren, alla seconda
collaborazione consecutiva con l’autore dopo quella de Gli
uccelli, da molti già definita problematica. Stavolta, invece, il
rapporto fu addirittura tumultuoso (si vocifera a causa del fatto che il
regista, innamorato dell’attrice, intendesse controllare tutti gli aspetti
della sua vita anche al di fuori dal set), al punto che i due si parlavano solo
tramite intermediario. Anche con il protagonista maschile, l’aitante Sean Connery,
al top del suo fascino e della sua fama (grazie ai successi della saga di 007),
gli aneddoti non mancarono. Si dice infatti che Connery, temendo di dover
interpretare un clone di James Bond, pretese di leggere in ogni dettaglio la
sceneggiatura prima di accettare il ruolo. Hitchcock, visibilmente seccato, gli
disse che neanche Cary Grant aveva accampato un simile richiesta, ottenendo in
cambio la piccata risposta: “Io non sono
Cary Grant!”. I punti deboli più evidenti di questo film da rivalutare sono
il personaggio di Connery (scritto con approssimazione nella sua natura duale
di affettuoso protettore e sadico bruto), il macchinoso finale e le artificiose
scenografie (i fondali finti appaiono ormai troppo desueti e anche stridenti
per un autore abitualmente tanto interessato alle innovazioni tecniche). Questo
è l’ultimo film in cui Hitchcock e il leggendario compositore Bernard Herrmann
hanno lavorato insieme, con l’intensa colonna sonora di Marnie si conclude uno dei più lunghi, famosi e proficui sodalizi
artistici della storia del cinema.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento