lunedì 15 settembre 2014

City of God (Cidade de Deus, 2001) di Fernando Meirelles

Storie di vita e malavita in una malfamata favela di Rio dove la polizia ha paura di entrare e le strade brulicano di reietti che usano la violenza come unico mezzo di affermazione, a discapito dei più deboli. Tra Pasolini e Scorsese, questo noir stradaiolo di Meirelles racconta, con ambizioni da apologo, vent'anni di crimini attraverso le vicende di due amici, Buscapé e Dadinho, cresciuti entrambi nel ghetto chiamato, non senza grottesco umorismo, Cidade de Deus: la città di Dio. Ma Dio è, evidentemente, lontanissimo da questo sperduto angolo di mondo, in cui il lezzo delle ingiustizie sociali e degli aberranti contrasti di un paese, il Brasile, eternamente sospeso tra incanto e brutalità, si mescola a quello delle strade: lerce, immonde, profanate quotidianamente da orde di disperati al soldo di criminali senza scrupoli, che uccidono, rubano, spacciano o si prostituiscono per cercare un proprio ruolo in questo inferno metropolitano, a due passi dai quartieri "cartolina" di Copacabana e Ipanema. Lo stile del regista è crudo, spietato, senza filtri ed immerge lo spettatore in questo mondo barbaro con un verismo "sporco" che turba ed indigna, specialmente nelle scene più forti. Ma se è perfettamente riuscito l'intento, encomiabile, di portare alla ribalta una dolorosa realtà che politici e benpensanti scelgono di ignorare, non si può altresì sottacere la furbizia di alcune sequenze che mirano alla spettacolarizzazione strumentale della violenza, in nome dell'enfasi cinematografica, alla maniera americana. Resta comunque un vigoroso esempio di documento di denuncia con degli ottimi attori, tutti non professionisti, che portano addosso l'essenza della favela ed hanno nello sguardo "che morde" la fierezza selvaggia di una vita dannata.

Voto:
voto: 3,5/5

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