martedì 30 settembre 2014

La corazzata Potëmkin (Bronenosets Potemkin, 1925) di Sergej M. Ejzenstejn

Più che un film è una leggenda del cinema muto, è la storia (ispirata ad una vicenda reale ma in buona parte romanzata) di un ammutinamento avvenuto a Odessa, in Ucraina, nel giugno del 1905 ad opera dei marinai della corazzata Kniaz Potëmkin Tavricevskil a causa delle disumane condizioni di vita. Commissionato appositamente dal governo sovietico per il ventennale della rivolta, è il più famoso, ed il migliore, film di propaganda mai realizzato a causa dei suoi elevati valori tecnici che si condensano in un apparato figurativo imponente, titanico, di altro spessore tragico, con delle sequenze che sono entrate di diritto nella Storia del Cinema. Su tutte quella del massacro sulla scalinata, con i soldati dello zar che sparano sulla folla inerme ed il dettaglio della carrozzina che scivola giù lungo i gradini, sequenza divenuta icona della settima arte e ripetutamente omaggiata da tanti registi, come il Brian De Palma de Gli intoccabili. Diviso in cinque atti (Uomini e vermi, Dramma sul ponte, Il sangue grida vendetta, La scalinata di Odessa, Una contro tutte) è una sinfonia epica all'insegna del gigantismo che divenne, dopo l'iniziale diffidenza, il manifesto dell'intellettualismo di sinistra, trionfando in tutti i paesi del blocco comunista. Ovviamente l'evidente intento di propaganda ne fa un prodotto a tesi, unilaterale e, quindi, facilmente tacciabile di retorica, ma i meriti estetici dell'opera sono innegabili e ne costituiscono, ancor'oggi, il punto di forza. Ejzenstejn alterna le immagini imponenti di ampio respiro ad una serie di inserti shock in primissimo piano (il celebre occhio della madre straziata dalla violenza dei soldati), che servono a provocare una forte reazione emotiva nello spettatore, immergendolo nell'orrore della situazione. E viene portato al massimo livello enfatico il così detto "montaggio delle attrazioni", marchio stilistico del regista, ovvero non lineare ma caotico, intervallato da continui stacchi e con l'apparizione di immagini improvvise, per rendere il pubblico partecipe dello straniamento filmico. Il tumultuoso masacro sulla scalinata ne è un fulgido esempio, probabilmente il più alto nel cinema di Ejzenstejn. Di grande impatto è anche la scelta di non mostrare mai direttamente i soldati carnefici, ma di inquadrarne sempre alcuni dettagli della divisa, tendendo così alla disumanizzazione e, quindi, all'astrazione del nemico in un'unica malefica entità: il potere zarista. Il consueto simbolismo esasperato del regista russo trova qui pieno compimento nei primi piani sulle bocche dei cannoni o nella celebre scena della statua di leone che, prima dormiente, poi "prende vita", come metafora della coscienza popolare che si ridesta, dando vita alla rivolta. Esistono diversi versioni del film, quella solitamente circolante in Italia, dove arrivò solo nel 1960, dura 68' e si avvale della voce di Arnoldo Foà nella lettura delle didascalie, ma è ugualmente reperibile, in home video, la versione originale di 75'.

Voto:
voto: 5/5

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