Meraviglioso apologo psicologico sulla crisi, di una coppia ma anche di una società che si è appena risollevata dalla catastrofe della guerra ma che si sente già inadatta ai cambiamenti di costume imposti dal benessere competitivo indotto dal boom economico. Come sempre in Antonioni, la coppia è la cartina tornasole di un'alienazione più grande e profonda, sociale e morale. Secondo capitolo della così detta trilogia dell'incomunicabilità esistenziale del grande Autore ferrarese, è una sorta di completamento ideale del capolavoro precedente, L'avventura, di cui riprende tematiche e atmosfere, accentuandone ulteriormente lo straniamento, il rigore intellettuale e la sperimentazione stilistica. Dal punto di vista estetico è un capolavoro assoluto per la geniale capacità innovativa di destrutturare il linguaggio cinematografico, modulandone i toni sulla poetica del disagio che è alla base dell'opera. Introspettivo ed astratto, costruito su sequenze in chiaro scuro di mirabile vigore espressivo, è il manifesto definitivo della poetica dell'autore. Magistrale l'apparente "svolta" del finale, lo slancio inatteso, con il movimento di camera "alle spalle" che suggella l'impotenza del gesto e, quindi, l'ineluttabilità della sconfitta. Alieno al grande pubblico per il ritmo lento e l'atmosfera claustrofobica, fu invece osannato dai critici e premiato al Festival di Berlino con l'Orso d'oro. Tra Mastroianni e la Moreau spicca la Vitti, musa del regista.
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