Un'isola da "sogno", una vita "perfetta", un lavoro "tranquillo", una
famiglia "amorevole", un amico "fedele". Eppure c'è qualcosa che non
quadra nelle giornate incolori e sempre uguali di Truman Burbank (Jim
Carrey), nell'ossessiva ripetizione di un rituale quotidiano così
impeccabile da risultare monotono perchè privo di quella scintilla
vitale data dall'imprevedibilità. E se l'idillio fosse, in realtà, un
incubo ? In questa commedia nera d'autore, dai toni grotteschi e i
tratti drammatici, si affrontano temi enormi ed attuali, addirittura
anticipando il triste fenomeno dei reality show che esploderà poco dopo.
Come sempre il cinema dei grandi autori riesce a leggere dentro i
fenomeni del tempo, analizzandoli ed evidenziandone i lati oscuri o,
addirittura, cogliendo in anticipo certe tendenze con lungimirante estro
visionario. La grande paura della società del benessere tecnologico,
quella di essere spiati a nostra insaputa, prende forma concreta in
questo film di Peter Weir che si erge come un monito sinistro in un
mondo che brama di essere costantemente "on-line" per sentirsi al passo
con i tempi. L'evidente inverosimiglianza delle situazioni (comunque ben
incastonate nell'universo fantastico messo in piedi da Weir) è
compensata dalla tagliente critica sociale a cui il regista mira, con le
armi della caustica ironia e del paradosso grottesco, per evidenziare
gli orrori del mondo moderno: l'invadenza impudente dei media, la cinica
spettacolarizzazione del dolore in nome dell'audience, il voyeurismo
morboso di un pubblico insaziabile e decerebrato, la deriva culturale e
morale del "popolo" televisivo. In un cast ispirato spicca un
formidabile Ed Harris nel ruolo del "Creatore", demiurgo tormentato
sospeso tra folle senso paterno e delirio d'onnipotenza; ogni volta che
lui entra in scena non ce n'è per nessuno. Unico punto debole: il lieto
fine che toglie forza al senso dell'opera che, comunque, costituisce uno
dei migliori film degli anni '90. Tra Dick e Orwell, questa
agghiacciante istantanea dei nostri tempi, non priva di allegorie
religiose, gioca abilmente con i concetti di realtà e finzione che sono
poi alla base del potere intrigante del mezzo televisivo, che qui viene
messo a nudo in tutta la sua aberrante condotta. Lo spettacolo, questa
volta, non deve continuare.
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