martedì 30 settembre 2014

Fanny e Alexander (Fanny och Alexander, 1982) di Ingmar Bergman

Opera conclusiva del grande Autore svedese, che in seguito ha girato solo piccoli film TV che nulla aggiungono alla sua fama, ed ultimo straordinario capolavoro di una carriera irripetibile. Nato inizialmente come prodotto televisivo della durata di più di 5 ore, poi ridotte a circa 3 nell'inevitabile adattamente per il grande schermo, fu un kolossal costosissimo che mandò sull'orlo del fallimento la Filminstitutet svedese. Maestosa epopea familiare divisa in 5 capitoli (il Natale, il fantasma, il commiato, i fatti dell'estate, i demoni) più un prologo ed un epilogo, racconta le vicende della famiglia Ekdahl di Uppsala tra il 1907 ed il 1909, con una moltitudine di personaggi, una varietà di ambienti ed una ricchezza figurativa non usuale nel rigoroso cinema di Bergman. E' un film profondamente autobiografico, nel quale il regista racconta, in forma trasfigurata e carica di nostalgia, le origini della sua famiglia ad inizio '900. Più che una saga, sembra una sorta di rivisitazione guidata dalla memoria e illuminata dalla saggezza, una sorta di seduta autopsicanalitica per ricercare nell'infanzia le influenze, i motivi di ispirazione e le radici delle ossessioni e dei temi trattati poi dall'autore nei suoi film. La rievocazione ambientale è accuratissima e le le atmosfere rarefatte sono cariche di suggestione, con una costante oscillazione tra ambienti sontuosamente decorati ad altri freddamente spartani, che trova il rispettivo riscontro interiore nello stato d'animo dei personaggi. La ricchezza visiva e l'esuberanza inventiva, sia formale che sostanziale, sono degne delle opere migliori dell'autore e vengono qui ulteriormente amplificate dalla raggiunta maturità artistica e dal necessario "distacco" dai temi trattati, per quanto personali, che consente ad un'opera di divenire universale e, quindi, di pura Arte. Film testamento di uno dei massimi Maestri cinematografici, è una summa di tutto il suo cinema che qui spazia liberamente tra tragedia, commedia, drammi da camera, gioioso erotismo, rituali familiari, idilli incantati, momenti horror, litigi di coppia, fanatismo religioso e persino tocchi fantastici di assoluta genialità. I temi principali dell'opera sono quattro: famiglia, arte, religione e magia. La famiglia è quella, ideale, di Bergman, che si identifica, evidentemente, in Alexander e che ricostruì con assoluta precisione la sua infanzia burrascosa e gli ambienti barocchi della sua vecchia casa di Uppsala. Le figure familiari rassicuranti che compaiono nella prima parte, la nonna Helena o il vecchio zio, sono le proiezioni sentimentali, idealizzate, del regista: i parenti che avrebbe voluto avere. L'arte viene qui intesa, in una delle sue forme più nobili, il teatro, di cui il direttore Oscar declama subito il potere ad inizio film, e Bergman ne traccia un apologo vibrante, evidenziandone il costante rapporto con la vita attraverso continue connessioni, scambi di ruoli, transfert psicologici, fino alla confusione tra persone e personaggi, contenuto e forma, palcoscenico e quotidiano. La religione compare, inevitabilmente, come tetro fanatismo luterano (le cui atmosfere rimandano direttamente al cinema di Dreyer) nell'agghiacciante figura del pastore Vergérus, despota intransigente che rappresenta il padre del regista, figura opprimente dalla cui rigida educazione non è mai riuscito a liberarsi, come sancito, in modo sinistro, nella scena dell'apparizione del fantasma del religioso ("Non ti libererai mai di me!"). La magia è quella dell'infanzia, lo sguardo incantato di Alexander mentre osserva il mondo degli adulti rielaborandolo con la forza esuberante della sua fantasia e dando vita a visioni ora terribili ora meravigliose, trasfigurazioni possenti, simboli arcani dell'universo interiore bergmaniano. Magia che assume la valenza metaforica di un'utopia concreta (l'illusione cinematografica) quando consente di infrangere le leggi fisiche del reale (la fuga dei bambini dalla casa prigione), come se la verità fosse una mera illusione, un'idea evanescente, non razionale, ma frutto emotivo del desiderio infantile, mediante il quale "tutto è possibile", come detto dalla nonna Helena nel meraviglioso finale. Questo enorme caleidoscopio di immagini e suggestioni è un'opera di straordinario spessore testuale e pienezza espressiva, il lascito artistico di un genio ed uno dei maggiori capolavori della Storia del Cinema. Una menzione speciale va fatta per l'espressiva fotografia a colori di Sven Nykvist, straordinaria nell'esaltazione dei toni rossi (come già visto in Sussurri e grida), nella freddezza dei grigi e nel donare un'enfasi spettrale agli ambienti tetri. Ogni capitolo del film, che corrisponde ad una diversa "stagione" emotiva oltre che temporale, ha il suo colore caratteristico che gli conferisce la giusta personalità ed atmosfera. La pellicola vinse 4 Oscar: miglior film straniero, fotografia, scenografia e costumi e l'Academy perse, incredibilmente, l'ultima occasione di conferire il meritato premio al grande regista, candidato (ancora una volta invano) per regia e sceneggiatura.

Voto:
voto: 5+/5

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