martedì 30 settembre 2014

Il diario di un curato di campagna (Le journal d'un curé de campagne, 1951) di Robert Bresson

Un giovane prete viene destinato in un piccolo paese della campagna francese, Ambricourt, dove il suo operato ascetico non viene compreso. Nonostante sia affetto da una grave malattia cerca di riportare alla fede la moglie e la figlia di un conte, vittime di forti tormenti interiori, ma anche stavolta non otterrà la dovuta considerazione. Abbraccerà allora la morte con l'animo di lieto di chi si sente in pace con se stesso. Il cinema di Bresson è il cinema del rigore e della coerenza, quasi insensibile alle logiche produttive e fortemente legato alla concezione del film come forma d'arte, libera e totalmente avulsa dai discorsi commerciali. Cineasta indipendente e dotato di grande personalità, influenzò, con la sua opera, tutto il cinema francese, compresa quella Nouvelle Vague di cui non volle mai far parte. Il diario di un curato di campagna è uno dei suoi capolavori, uno dei vertici della sua estetica asciutta fondata sulla sottrazione del superfluo, per mirare alla pura essenza delle cose, al cuore. Tratto dall'omonimo romanzo di Georges Bernanos, ne epura tutti gli aspetti legati alla vita sociale o alla convivenza nel piccolo paese, e mette fuori fuoco persino quelli connessi alla malattia del giovane curato, per soffermarsi unicamente sull'aspetto mistico, su un doloroso percorso di fede e di carità che ricalca quello del Cristo. Infatti il film di Bresson è, essenzialmente, un meraviglioso elogio della santità, che sceglie unicamente la via spirituale per rappresentare una vita straordinaria, in cui il male fisico costituisce il mezzo per unirsi all'assoluto, annullandosi in esso. La compostezza formale, la tensione interiore sono i punti di forza di questa perla cinematografica che, attraverso immagini che tendono al metafisico, ci parla della fede attraverso aneddoti potenti, come il martirio quotidiano, il sacrificio solenne, insomma la Via Crucis. Il mondo degli uomini, lasciato in penombra con i suoi vizi e le sue imperfezioni, appare come lo spettatore inerte ed ignavo di questo glorioso cammino di cui riesce a cogliere soltanto gli aspetti esteriori: la sofferenza e la morte. Tra i tanti esempi di cinematografia della Fede quest'opera di Bresson è, senza alcun dubbio, una delle vette supreme e la sua scarna essenzialità possiede la forza di un raggio di luce che squarcia le tenebre.

Voto:
voto: 4,5/5

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