lunedì 29 settembre 2014

Rapacità (Greed, 1924) di Erich von Stroheim

Dal romanzo McTeague di Frank Norris, Stroheim ha tratto il film "maledetto" per eccellenza, praticamente una leggenda della vecchia Hollywood per i costi di realizzazione, le difficoltà nelle riprese, le controversie produttive che portarono ad innumerevoli versioni, il clamoroso insuccesso al botteghino e gli strali della critica indispettita. Attraverso tre personaggi sporchi e ruvidi (Marcus, MacTeague e Trina), il regista austriaco racconta l'America alle soglie della grande depressione: un paese brutale e violento, dominato da istinti cinici e prevaricatori, in cui l'inseguimento del "sogno" passa attraverso la meschina cupidigia, come già sancito dal titolo esplicativo. Animato da un furore realistico quasi maniacale, che guarda a Zola ma con evidenti influenze sadiane, l'autore pretese di girare in luoghi e condizioni proibitive (la Death Valley), facendo crescere a dismisura tempi e costi e dando vita ad un'opera smisurata di quasi 7 ore, poi ridotta a 3 ore e 40' fino ad arrivare una versione "maciullata" di soli 108', con enormi tagli e stravolgimenti, che è quella normalmente circolante e che mandò il regista su tutte le furie. La storia del cinema è piena di contrasti tra autori e produttori, a discapito dell'arte, e quello di Greed è forse uno dei più eclatanti e clamorosi. Nel nuovo millennio ha preso a circolare una nuova versione, con il ripristino di molte sequenze tagliate, che dura 4 ore e che fu presentata, con notevole successo, alla rassegna per il cinema muto della 56° edizione del Festival del Cinema di Venezia. Questa nuova edizione, più vicina all'originale, ha restituito dignità ad un capolavoro dell'arte cinematografica, un apologo fosco e visionario sulla cupidigia e sulla cattiveria umana, una visione infernale del mondo (non solo del nuovo mondo) da parte di un autore ossessionato dalla ricerca della verità. Le interpretazioni sono straordinarie, in particolare la bravissima ZaSu Pitts, nel ruolo di Trina, è divenuta l'icona cinematografica dell'avarizia, ed anche dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte ad un film memorabile. Stroheim fa ampio uso di tecniche innovative, come la profondità di campo, per introdurre inserti surreali di grande effetto, che stridono volutamente con il realismo rigoroso alla base dell'opera per ottenere un contrasto di fertile ambiguità e di alto spessore metaforico. Basti pensare, as esempio, alla celebre scena del matrimonio tra Trina e Mac, con il carro funebre (sinistro presagio) che passa sullo sfondo, fuori dalla finestra, o al grottesco pranzo nuziale, a base di squallide portate, per sottolineare la volgarità degli invitati, fino alle braccia di Trina che diventano scheletriche mentre accarezzano le adorate monete d'oro. Minuzioso, impietoso, crudele e non privo di conturbante carica erotica (inusuale per i tempi), quest'opera titanica era, evidentemente, troppo per gli anni '20 e per il cinema muto. Oggi, dopo la dovuta ed inevitabile rivalutazione, resta come il monumentale lascito incompleto, perchè ci è arrivato solo in parte, di un visionario coraggioso e geniale.

Voto:
voto: 5/5

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