Una stazione di polizia ormai in disarmo, il distretto 13 alla periferia di Los Angeles, viene assaltata proprio alla vigilia della sua smobilitazione. La banda di malviventi che accerchia la stazione vuole vendicare dei compagni uccisi, sia dagli sbirri che da un civile, che ha agito in risposta al barbaro omicidio della figlia e che ora si trova asserragliato all'interno. In difesa del luogo ci sono due poliziotti e una donna, per quella che sarà una lunga notte di violenza e di sangue. Più che un thriller carcerario è un western urbano, crudo ed amorale, che si inserisce sulla scia di quella cinematografia della violenza che si affermò negli anni '60 e '70 grazie a registi come Leone, Peckinpah, Kubrick, Siegel. Carpenter reinterpreta la lezione dei "maestri", contaminandola con uno stile a metà strada tra il greve e il fantastico, in cui le esplosioni di violenza virano nel fumettistico attraverso un iper-realismo allucinato che prende, evidentemente, le mosse dalla brutalità urbana tipica delle gang criminali degli anni '70. Ebbe molti guai con la censura per la scena dell'omicidio della bambina ma è stato ampiamente rivalutato nei decenni successivi al punto che alcuni addirittura lo considerano, con una certa esagerazione, il miglior film del regista. Deve molto anche a Romero per l'opprimente esaltazione dell'assedio ma, con tutti i suoi limiti derivativi, resta un'opera seminale ed importate nella formazione del regista horror. E' una pellicola underground che meriterebbe la riscoperta, di certo non incoraggiata dal pessimo remake del 2005 di Jean-Francois Richet.
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