Allison è una giovane donna, bella e solare, in procinto di sposarsi con Nathan. Un giorno, mentre è alla guida dell'auto in cui viaggiano con lei la sua futura cognata Molly con il marito, una sua distrazione è concausa di un terribile incidente a cui soltanto lei sopravvive. Un anno dopo Allison è una persona distrutta, spezzata nell'animo, schiacciata dai sensi di colpa e dipendente dai farmaci a base di oppio che le danno la forza di sopravvivere al dolore che si porta dentro. Ha interrotto la relazione con Nathan e sta cadendo sempre più in basso in un vortice autodistruttivo. Per caso, ad una riunione di sostegno psicologico per le dipendenze, incontra Daniel, il suo ex suocero che ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la famiglia. Uomo duro e rigido, con un passato da alcolista e molte cose da farsi perdonare, Daniel, che ha sempre incolpato apertamente Allison della morte di sua figlia e che adesso si occupa attivamente della crescita della nipote Ryan (rimasta senza genitori), cerca di allacciare un improbabile rapporto con la ragazza che ha sempre voluto escludere dalla sua vita. Questo intenso dramma familiare, scritto e diretto da Zach Braff, rappresenta la prima vera incursione del regista nel genere drammatico dopo tre commedie. Ambientato, come al solito, nel "suo" New Jersey (di cui la fotografia desaturata dell'italiano Mauro Fiore ci restituisce perfettamente quelle atmosfere corrispondenti all'immaginario collettivo), A Good Person è una dolorosa storia sull'elaborazione di un lutto, sul tormento interiore generato dalla colpa, sulla crudele casualità del destino che in un attimo può spezzare vite e stravolgere esistenze e, ovviamente, sul tema della seconda occasione, da sempre affine al cinema americano. Evitando completamente pietismi e ridondanze melense, questo solido film indipendente basa la sua forza sul tono asciutto (tragico ma giammai enfatico), sul denso naturalismo delle ambientazioni e dei personaggi (finemente tratteggiati come persone vere, ambigue, piene di difetti e di fragilità), su un sapiente lavoro di scrittura che ne definisce i contorni emotivi e sull'eccellente performance dei due protagonisti principali (la talentuosa Florence Pugh e il sempre verde Morgan Freeman) che sono il cuore palpitante dell'opera. L'evoluzione altalenante e complicata del loro rapporto segna il ritmo dell'opera, dando luce ad un sincero affresco (in perdita) dell'imperfezione intrinseca della natura umana, della difficoltà dei rapporti, del crudo contrasto tra la vita reale e quella ipotetica (in scala 1:90 dove tutto funziona bene), ma anche di quell'ancestrale istinto di conservazione che, in certi casi, emerge con prepotenza e ci rende momentaneamente, se non proprio "buoni", quanto meno decenti. L'accettazione "grata" del proprio destino è spesso una sfida quasi sovrumana, un "amor fati" probabilmente irrealizzabile nel concreto ma che deve fungere da principio ispiratore, da faro illuminante, piuttosto che da dogma teorico. Il titolo, che si muove simbolicamente sul crinale dell'antifrasi, accorda tono e senso della vicenda: gli esseri umani, inevitabilmente deboli e fallaci, e tipicamente sospesi in un'inerte mediocrità, sempre sul confine sottile tra bene e male, hanno il potere della scelta che, talvolta, gli consente di raggiungere temporanei picchi di spregevolezza o di magnificenza; a seconda dei casi. In Italia il film non ha trovato distribuzione nelle sale ma è uscito unicamente per il mercato streaming e home video. Florence Pugh e Zach Braff, che al tempo della lavorazione della pellicola avevano una relazione sentimentale, figurano anche in veste di coproduttori.
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