Nella campagna toscana di fine '800, in un antico podere denominato "la Viaccia", la morte del patriarca tenutario provoca una disputa tra i suoi figli per questioni di eredità. Il giovane Amerigo, figlio dell'erede che si è sempre occupato di mandare avanti l'azienda agricola di famiglia, va a stare dallo zio a Firenze e perde la testa per Bianca, una bella prostituta che lo porta a sperperare un patrimonio. La cosa viene presto a galla e in famiglia scoppia lo scandalo, con alcuni furbi che si approfittano della situazione, utilizzando il fattaccio per forzare a loro vantaggio la questione ereditaria. Amerigo è costretto a tornare a casa sua in campagna per placare le acque, ma non riesce a dimenticare il suo grande amore per il quale è disposto a mettere a rischio ogni cosa. Imponente trasposizione cinematografica del romanzo "L'eredità" di Mario Pratesi, scritto per il grande schermo da Vasco Pratolini, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, e diretto con piglio sicuro da Mauro Bolognini, che ha realizzato un melodramma storico visivamente sopraffino, crepuscolare nei contenuti, ardente nei sentimenti e che non tradisce mai la fonte letteraria d'origine, anzi la esalta in una forma figurativa dal fascino pittorico. Presentato in concorso al Festival di Cannes divise in due la critica, rimanendo generalmente incompreso rispetto a quelli che sono i suoi meriti, tra cui non va dimenticato il superbo cast in cui tutti sono praticamente impeccabili: Jean-Paul Belmondo, Claudia Cardinale, Pietro Germi, Romolo Valli e Paola Pitagora. Molto riuscita anche la ricostruzione ambientale e linguistica, con la morbida fotografia in bianco e nero di Leonida Barboni che ci mostra una Firenze mai così distante dalle sue tipiche illustrazioni da cartolina. Il monologo in cui Amerigo (Belmondo) spiattella in faccia a suoi quanto siano miseri nella loro gretta avidità è un pezzo di grande cinema tutto da gustare.
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