Max, regista pubblicitario afroamericano, sposato con due figli e in viaggio di lavoro a New York, conosce per caso in aeroporto la bionda Karen, con cui trascorre la serata, dopo che entrambi hanno perso lo stesso volo, e poi una lunga notte passionale d'amore. Tornato alla sua routine matrimoniale non riesce a dimenticarla, ma i due si sono lasciati senza scambiarsi alcun contatto personale e quindi è costretto a rassegnarsi. Un anno dopo la ritrova per caso in una situazione alquanto imbarazzante: tornato a New York insieme alla moglie per far visita in ospedale al suo miglior amico, Charlie, colpito da una grave malattia terminale, scopre che Karen è sposata con Vernon, fratello di Charlie. Ma le soprese non sono ancora finite. Questo melodramma patinato scritto, diretto e anche musicato dal britannico Mike Figgis, può essere diviso idealmente in due parti nettamente contrapposte per esiti e verosimiglianza. Se la prima è sicuramente conturbante, sostenuta da una buona messa in scena, da un montaggio efficace e dal fascino intrigante di Nastassja Kinski, tutto il secondo segmento risulta invece implausibile, forzato e appesantito da un effettismo di palese ruffianeria. Presentato in concorso al Festival di Venezia, il film si aggiudicò (a sorpresa e non senza polemiche) la Coppa Volpi al miglior attore per Wesley Snipes, in un ruolo alquanto inconsueto per la sua carriera. Figgis esagera con il glamour e la bigotteria, finendo per disperdere completamente l'interessante discorso sulla dinamica di coppia con cui aveva iniziato, ma è un regista che sa digerire efficacemente gli attori, riuscendo sempre a trarne il meglio delle rispettive potenzialità. In questo caso gli interpreti delle così dette "seconde linee" (Robert Downey Jr., Thomas Haden Church, Kyle MacLachlan) appaiono più convincenti dei protagonisti principali. La fotografia luccicante di Declan Quinn è funzionale alla New York modaiola, materialista e decadente che fa da sfondo alla vicenda.
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