Martha e Sean sono una giovane coppia di Boston, in attesa della loro prima figlia. Lei è solare e di buona famiglia borghese, lui è un manovale un po' rozzo, ma premuroso con la sua compagna e molto emozionato dall'evento che sta per cambiare le loro vite. Martha decide di partorire in casa, ma durante il travaglio la sua ostetrica di fiducia si trova impossibilitata a raggiungerla e viene sostituita all'ultimo momento da un'altra. La tragedia è dietro l'angolo e l'esistenza di Martha andrà in pezzi. Questo solido dramma introspettivo dell'ungherese Kornél Mundruczó (al suo primo lungometraggio girato in lingua inglese e negli Stati Uniti), è l'adattamento per il cinema dell'omonima pièce teatrale di Kata Wéber (moglie del regista e sceneggiatrice del film), a sua volta ispirata ad una reale tragica vicenda personale da loro vissuta. Il tema dell'elaborazione di un lutto e di come un grande dolore possa spazzare via consolidate certezze quotidiane è uno dei più abusati nella storia del cinema, con risultati di alterne fortune e di variegati registri emotivi. In questo caso l'autore sceglie uno stile asciutto e sensibile, alternando sapientemente realismo e intimismo in un sobrio saliscendi di emozioni. Si parte con un indimenticabile prologo di forte impatto: un lungo piano sequenza di ben 23 minuti in cui assistiamo al travaglio di Martha, che ci viene mostrato nei dettagli, rendendoci emotivamente partecipi, scuotendoci profondamente per ovvi motivi, ma senza mai indugiare in particolari morbosi o sanguinosi, ma, piuttosto, affidandosi nei momenti più forti ai primi piani della bravissima Vanessa Kirby, che ci trasmette una gamma di dolorose sensazioni attraverso le sue intense espressioni. Dopo un avvio di questo tipo, con i titoli di testa che partono e ci introducono nella penosa fase della convivenza con una perdita insostenibile, potrebbe quasi essere scontato che la pellicola si adombri e perda consistenza. Invece il lucido scandaglio psicologico di Martha (a cui la Kirby riesce a donare una magistrale complessità finemente stratificata), i suoi conflitti con il ruvido compagno o con la madre altezzosa e la tematica del desiderio di giustizia, confinante con la vendetta, che si aggiunge al quadro d'insieme, riescono a tenere sempre alto il coinvolgimento dello spettatore, pur senza mai eccedere in scivoloni patetici. Anzi a metà pellicola l'autore ci regala una seconda scena madre, di grande intensità drammaturgica, in cui Ellen Burstyn ci ricorda perchè negli anni '70 veniva (giustamente) considerata una delle migliori attrici americane in circolazione. Peccato che nel finale il film tenda ad appiattirsi verso soluzioni più scontate e meno ricercate, portando a compimento la doppia metafora delle mele e del ponte in maniera obiettivamente un po' convenzionale. Prodotto da Martin Scorsese e musicato da Howard Shore, questo apologo sul dolore, sulla perdita e sul perdono ha ricevuto ampi consensi da parte della critica, con unanime lodi per le performance recitative di Vanessa Kirby ed Ellen Burstyn. La Kirby, nominata agli Oscar come miglior attrice protagonista, è stata premiata con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al Festival di Venezia. Da rimarcare (e da elogiare) il "graffio" (di sensibilità tipicamente europea) dispensato dall'autore al rigido senso di giustizia tipicamente americano, che spesso fa rima con giustizialismo.
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