Dal romanzo omonimo di Alberto Moravia: nella Roma fascista degli anni '30 la bella Adriana cerca di fare carriera come modella per i pittori, per sfuggire alla miseria che attanaglia la sua famiglia. Dopo una serie di relazioni amorose, amicizie sbagliate e cattive frequentazioni, la ragazza, delusa dalla vita, finisce in un giro di prostituzione con uomini ricchi e potenti. L'incontro con Mino, giovane gentile, colto e idealista, le fa ritrovare speranza nell'amore; ma quando scopre che questi è un convinto anti-fascista e si offre di aiutarlo in nome del sentimento che li unisce, Adriana finisce per mettersi nei guai. Questo celebre melodramma popolare di Luigi Zampa, da lui stesso sceneggiato insieme a Giorgio Bassani, Ennio Flaiano e Alberto Moravia, divenne un autentico caso nazionale già prima della sua uscita, per i suoi contenuti "scandalosi" che già avevano creato aspre polemiche, da parte di benpensanti ed esponenti del clero, alla pubblicazione del libro ispiratore avvenuta nel 1947. Zampa, autore di navigata esperienza e di grande affabilità nelle relazioni sociali, era preoccupato che la censura potesse in qualche modo bloccare il suo film o costringerlo a tagli e modifiche sostanziali, e per questo, dopo una lunga serie di revisioni e di ripensamenti nella fase di scrittura, optò per un approccio di quasi completa fedeltà al testo di Moravia, addolcendone però gli aspetti più controversi e "scabrosi". Presentata in anteprima assoluta al Festival di Venezia nell'agosto del 1954, con un seguito di pubblico e di addetti ai lavori mai visto prima, la pellicola ebbe riscontri molto negativi da parte della critica dell'epoca e ciò convinse il regista ad apportare una serie di cambiamenti prima dell'uscita in sala, che avvenne ad ottobre dello stesso anno. Nonostante il successo al botteghino (La romana fu il 13° incasso nazionale dell'anno malgrado il divieto ai minori di 16 anni), il film continuò a non entusiasmare i recensori specializzati e le motivazioni, del tutto condivisibili, sono evidenti anche ad una visione odierna, con un occhio distante anni luce dall'atteggiamento prevenuto dei bacchettoni filo-cattolici di allora. L'opera risulta infatti troppo calligrafica, troppo pavida nella sua preoccupazione di aderire pedissequamente alla prosa di Moravia, di cui però approfondisce unicamente gli aspetti morali, disperdendone del tutto la dimensione sociologica, il senso di alienazione, il pessimismo esistenziale ed il graffio politico. E' un po' come se l'operazione di "ripulitura" delle tematiche sessuali operata dal regista, per schivare gli strali della censura, avesse calmierato l'intero spirito corrosivo dell'opera, rendendola uno strumento spuntato. Va invece lodata la notevole prestazione della protagonista Gina Lollobrigida, che si dimostra pienamente convincente anche in un ruolo intensamente drammatico e pieno di chiaro scuri come questo. La "Lollo", sulle cui spalle poggia tutto il peso del film, venne doppiata per l'occasione dalla grande Lydia Simoneschi, secondo una pratica che all'epoca non era affatto inusuale anche per diversi attori italiani, per evitare inflessioni dialettali nella voce.
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