A Roma, durante la Seconda guerra mondiale, il giovane Ciro è un perdigiorno indolente che trascorre le sue giornate con gli amici del quartiere. Con l'inizio dell'occupazione nazista si dà al contrabbando e viene arrestato, ma riesce a scamparla grazie ad un evento fortuito che gli consente di scappare dal lercio budello dove era stato rinchiuso. Dopo l'arrivo degli americani le cose prendono una brutta piega, Ciro diventa l'amante di una donna sposata ed entra in una banda di ladruncoli che organizzano un furto di pneumatici in un deposito vicino alla stazione Tuscolana. Ma il destino sta per dargli una severa lezione. Questa commedia drammatica di Renato Castellani viene generalmente considerata come l'iniziatore del così detto "Neorealismo rosa", una costola del Neorealismo ufficiale che ebbe un notevole successo di pubblico per i suoi toni più leggeri e scanzonati, per le atmosfere popolaresche, per l'uso spiccato dei dialetti locali e per la maggiore enfasi posta sui (buoni) sentimenti e sull'etica edificante. La critica colta non gradì particolarmente questa svolta, considerandola, non sempre a torto, una sorta di contaminazione più superficiale e aneddotica, intrisa di un realismo bozzettistico incline all'evasione piuttosto che alla critica sociale o alla riflessione storico-politica. E questo film di Castellani, che rappresenta il primo capitolo della sua così detta "trilogia dei poveri", seguito da È primavera... (1950) e da Due soldi di speranza (1952), non sfugge di certo a questo tipo di giudizio. Tuttavia Sotto il sole di Roma è un film importante, sapientemente diretto, recitato con contagiosa spontaneità dagli attori del cast (tra cui ricordiamo l'esordiente Oscar Blando, Liliana Mancini ed un atipico Alberto Sordi in ruolo di cupa drammaticità), ricco di sequenze ispirate e di momenti intensi che costituiscono una perfetta sintesi in immagini di quei tempi fatti di miseria, di fame, di ingiustizie, di violenze, di paura, ma anche di profonda e tenera ingenuità di sentimenti. Non a caso il finale, che segna con secca enfasi il percorso di formazione del protagonista Ciro, costretto ad abbandonare dolorosamente la spensierata gioventù incosciente per entrare nell'età adulta, è la metafora perfetta della fine dell'innocenza di un'intera nazione, uscita sconvolta, umiliata e distrutta, nel corpo e nello spirito, da una guerra folle e terribile, che ha visto naufragare miseramente quel vano sogno di grandezza cullato da un manipolo di burocrati e dittatori e dato in pasto alle masse come oppio dei popoli.
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