In un ipotetico futuro le carceri tradizionali sono state rimpiazzate da cabine tecnologiche in cui i detenuti vengono mantenuti in un sonno comatoso indotto artificialmente (definito "ipersonno"), immersi in un liquido simile a quello amniotico e con le funzioni vitali monitorate da un sistema computerizzato. In una di queste strutture lavora lo psicologo David che controlla lo stato della mente e della memoria dei reclusi che vengono periodicamente risvegliati per evitare i danni di un ipersonno troppo prolungato. La sua ragazza, Viola, viene contattata da una persona che le fornisce informazioni clamorose per scagionare il suo ex marito, un medico accusato di omicidio e condannato a sua volta alla pena del sonno farmacologico. L'indagine della donna farà venire alla luce una serie di terribili verità, in cui molte cose sono l'esatto contrario di ciò che sembrano. Questa opera seconda del vicentino Alberto Mascia è un thriller di fantascienza distopica che riflette sul contrasto tra etica e dovere, tra sicurezza e libertà, tra ragione di stato e dignità del singolo individuo. Le influenze subite dal cinema americano sono evidenti, così come lo sono, a livello filosofico e tematico, quelle di derivazione kubrickiana e del suo capolavoro Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971) che però, per altezza d'ispirazione, spessore concettuale e genialità visionaria ha già da tempo posto la "pietra tombale" sull'argomento, rendendosi artisticamente insuperabile. L'esiguità di mezzi del cinema italiano rende la competizione persa in partenza per quanto riguarda le scenografie e gli effetti speciali, quindi l'autore ha puntato tutto sulla sceneggiatura (scritta da lui stesso insieme a Enrico Saccà), sulla recitazione degli attori e su un'estetica di algido e spartano minimalismo. Ma, al netto delle lodevoli intenzioni, del coraggio di fare qualcosa di diverso per rigenerare il nostro cinema di genere (che, invero, nemmeno nei suoi periodi più gloriosi ha mai flirtato con troppo successo con il genere sci-fi) e dell'interpretazione al di sopra della (sua) media da parte del protagonista Stefano Accorsi, bisogna riconoscere che i risultati non vanno oltre il fantasioso ricalco artigianale di cose già viste, con i presunti colpi di scena che non sorprenderanno più di tanto lo spettatore affine ad un certo tipo di cinema. Anche il tentativo di realizzare un apologo anti-sistema che pone l'accento su temi quali l'identità, il confine sottile tra bene e male, vittima e carnefice, giustizia e prevaricazione, punizione e abuso, risulta più velleitario che realmente centrato. Presentato in anteprima al Festival di Torino, il film è uscito in pochissime sale per poi finire direttamente sui circuiti di streaming, passando praticamente in sordina. Rimandato "a settembre".
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