Cinque persone si incontrano per caso sul rapido Roma-Nizza, tutti diretti a Montecarlo per differenti motivi: il commendator Alberto Franzetti, a cui nemmeno Padre Pio è riuscito a fare il "miracolo" di guarirlo dal vizio del gioco, deve raggiungere sua moglie, ma in realtà non vede l'ora di poter fare una scappatella al Casinò. Remo e Marina, coppia sposata di giovani parrucchieri, vogliono tentare la fortuna al gioco per dare una svolta alla loro squallida vita di proletari. Quirino e sua moglie Giovanna sono due "burini" delle borgate romane che hanno ritrovato un cane scomparso e devono portarlo alla sua proprietaria, una miliardaria olandese, per intascare il lauto compenso promesso. Una volta giunti in loco si ritrovano coinvolti, loro malgrado, in un caso di omicidio e, per la loro dabbenaggine, finiscono per aggravare sempre più la rispettiva posizione. Ma, per fortuna dei nostri, a guidare l'indagine c'è un arguto commissario francese dal cervello fino che non si fa ingannare dalle apparenze. Questa divertente commedia corale dalle tinte "gialle", diretta con agile brio da Mario Camerini e ispirata liberamente ad un reale fatto di cronaca accaduto agli inizi del '900, ebbe uno straordinario successo di pubblico alla sua uscita, al punto che vennero realizzati ben due remake: uno diretto dallo stesso Camerini nel 1971, Io non vedo, tu non parli, lui non sente, e l'altro di produzione americana, Sette criminali e un bassotto (Once Upon a Crime, 1992 ) di Eugene Levy. I motivi della sua fortuna sono da attribuire principalmente al cast stellare, con tanti divi della nostra commedia dell'epoca amatissimi dagli spettatori: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Silvana Mangano, Dorian Gray, Franca Valeri e il francese Bernard Blier. Ma il film, per quanto gradevole ed a tratti irresistibile, non riesce mai a spiccare il balzo decisivo o ad assestare il giusto graffio perfido per elevarsi al di sopra di un'onesta sufficienza. La sceneggiatura è un po' troppo sfilacciata, con ridondanze e tempi morti (anche a causa della lunghezza che supera di qualche minuto le due ore) e i tre straordinari "mattatori" (Sordi, Gassman, Manfredi) appaiono imbrigliati quando devono interagire, ma vanno molto meglio nelle scene singole. In particolare Sordi sembra sotto tono per metà del film ma poi, quando finalmente arriva al Casinò, si lascia andare e ci regala momenti comici memorabili. Probabilmente il migliore dei tre risulta essere Nino Manfredi, tra l'altro in un ruolo cucito a pennello per la sua abituale "maschera" che lo ha reso celeberrimo. L'evidente intento di deridere ironicamente il tipico atteggiamento di diffidenza dell'italiano medio nei confronti della giustizia funziona solo in parte, perchè il tono sa più di farsa buffonesca che di aguzzo sarcasmo. Però il finale, acre e "cattivo", che sembra quasi voler insinuare un fondamento di ragione nel diffuso scetticismo verso la legge, è un notevole colpo di coda. Dispiace dirlo ma, forse, con un Monicelli o un Risi al timone, poteva anche scapparci il capolavoro.
La frase:
- "Lei è l'assassino della baronessa ?"
- "A signor commissà. Io so' dieci anni che sto co' questa, annavo a 'mmazzà a n'altra ?"
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