Bologna, anni '60. Giorgio Rosa è un giovane ingegnere, genialoide, strampalato e sempre poco conforme rispetto al contesto sociale che lo circonda. Animato da uno spirito inquieto, creativo e sempre alla ricerca di "qualcosa", il nostro s'imbarca in una folle avventura, mai tentata prima da nessuno. Costruisce con i propri mezzi ed il proprio ingegno una grossa piattaforma d'acciaio al largo della costa riminese, poco fuori dal confine delle acque territoriali italiane, e diventa il primo abitante, nonché fondatore, di quello che lui considera uno "Stato" autonomo e indipendente, battezzato come "Isola delle Rose", per il quale sceglie una lingua a sé stante (l'Esperanto) e delle leggi pensate su sua misura. La voce si sparge, la curiosità pure e col tempo una lunga serie di bizzarri compagni si uniranno a lui, uniti dall'idea di cambiare il mondo sovvertendo le regole di un sistema vecchio e reazionario. Dopo i tentativi di Rosa di far riconoscere ufficialmente il suo "Stato" dal Consiglio Europeo di Strasburgo, la notizia finisce su tutti i quotidiani nazionali e la cosa comincia a diventare un serio problema per il Governo italiano. Quarto lungometraggio del giovane autore salernitano Sydney Sibilia, da lui diretto e scritto insieme a Francesca Manieri, prodotto da Netflix e ispirato (con alcune licenze romanzate) alla vera storia di Giorgio Rosa e della "micro-nazione" artificiale da lui fondata nel mar Adriatico, a circa 12 km. al largo della riviera romagnola. E' una vicenda così assurda e incredibile da sembrare una bufala, ma, invece, è realmente accaduta, anche se passò rapidamente in oblio ed oggi sono davvero in pochi a rammentarla. Sibilia, magneticamente attratto nelle scelta delle sue opere da storie straordinarie che hanno come protagonisti degli outsider sui generis altrettanto "straordinari", realizza una spigliata commedia biografica dal forte sapore nostalgico, tratteggia con colori vividi e atmosfere trasognate i "favolosi" anni '60 e ci regala un gradevole elogio dell'utopia (in stile sessantottino ed in veste pop-art) carico di ingenuità, tenerezza, sogni e delusioni, senza dimenticare caustici graffi politici nei confronti del potere e dello status quo imperante che, all'epoca, aveva la forma di uno scudo crociato. E' un film che diverte, intrattiene, informa, fa riflettere e non manca di quell'indignazione che tutti i sognatori ribelli provano nei confronti di quell'ordine costituito che, con le buone o con le cattive, li rimette in riga e li riporta alla realtà. Ma se il sogno svanisce, i progetti naufragano e le isole artificiali sprofondano, c'è sempre da valutare l'estasi del "viaggio", la gioia ineguagliabile e l'energia contagiosa provate fino a quando è durato; anche perchè nulla, nella vita, dura in eterno. Ne è valsa la pena? Sibilia risponde chiaramente alla domanda con questo suo film, la visione di un sognatore (Giorgio Rosa) dedicata ai sognatori, e ne sottolinea il messaggio orientato ad una densa felicità da carpe diem, abbracciando il piacere della "lotta" più che il freddo dato storico dell'esito finale. E' un'opera fresca e giovanile, densa di echi malinconici nei confronti di un'Italia vivacemente speranzosa che non aveva ancora perso del tutto la sua innocenza, e che, non a caso, è stata subito adottata come "di culto" da vari movimenti contemporanei di matrice ideologica: ecologisti, no-global, jamming e via discorrendo. Da elogiare tutto il cast principale (Elio Germano, Matilda De Angelis, Luca Zingaretti, Fabrizio Bentivoglio, François Cluzet, Tom Wlaschiha), gli ottimi effetti speciali e scenografici, e la carezzevole colonna sonora che mette insieme tante hits estive dell'epoca. Per la cronaca: Giorgio Rosa, deceduto nel 2017, non ha fatto in tempo a vedere questo film. Chissà se gli sarebbe piaciuto.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento