domenica 1 febbraio 2015

Au hasard Balthazar (Au hasard Balthazar, 1966) di Robert Bresson

Storia di Balthazar, un asino che cambia tanti padroni: dal piccolo Jacques al brutale Gèrard, dall’alcolizzato Arnold ad un avaro imprenditore di acqua minerale, passando per un circo itinerante. Maltrattato e vessato in ogni modo possibile, l’animale tornerà sotto le cure di Marie, una ragazza “selvatica” che già lo accudiva in passato, essendo amica di Jacques, al quale adesso è promessa in sposa. La triste vicenda di Balthazar, calpestato dalla vita e dalla crudeltà umana, si sovrappone a quella di Marie, sessualmente abusata dal diabolico Gèrard. Capolavoro assoluto di Bresson, che qui realizza il suo film migliore, descrivendo, tra brutalità e tenerezza, un tragico spaccato di un contesto rurale gretto, disumano, cinico, pronto a sottomettere i più deboli in nome del proprio egoismo. Con il consueto rigore stilistico, messa in scena asettica e linguaggio essenziale, privo di voli aulici in favore di un solenne minimalismo, l’autore inscena una metafora straziante dell’umana crudeltà e della perdita dell’innocenza, in un mondo in cui la barbarie sospinge gli umili nel baratro della sofferenza. La figura dell’asino, eterno simbolo di pazienza, diventa qui lo specchio in cui si riflette una società disumana che ha smarrito ogni forma di empatia con il prossimo, la sua triste parabola ed il suo vano calvario divengono allegoria del ruolo che la storia riserva ai deboli, ai remissivi, ai mansueti. Il legame tra i destini di Balthazar e Marie, vittime inermi di una sistema prevaricatore, dà forma concreta, attraverso immagini possenti e spesso povere di dialoghi, al male che è nell’uomo, quello assoluto, kantiano, rappresentato dal personaggio di Gèrard. Le sequenze in cui questi seduce Marie, corrompendone l’aspra integrità e bruciandone per sempre la purezza, sono tra le più drammatiche del cinema di Bresson, sebbene il tono si mantenga sempre lucido, asciutto, privo di ogni indugio morboso. Da questo momento in poi il percorso della ragazza sarà segnato, il suo cuore indurito ed il suo corpo condannato alla sottomissione nei confronti di occasionali “padroni”, proprio come l’asino Balthazar. La dolente figura dell’animale, solitamente accompagnato da pregiudizi di stupidità, è ricollegabile all’idiota di Dostoevskij, uno dei riferimenti letterari abituali del regista, per il suo subire incondizionatamente ogni sorta di angheria, rimanendo però integro, saldo, immutabile. Impreziosito dalla colonna sonora classica, le sonate di Schubert, che gli conferiscono un alone sacrale, questo capolavoro etico riscatta il cupo pessimismo che ne pervade l’essenza, con i momenti lirici, che vibrano di alta poesia e di solenne spessore morale. L’ascetismo intellettuale dell’autore, se non concede ai suoi eroi sconfitti il beneficio della pietà, gli offre, di contro, la gloria di una dimensione universale, che sconfina nella mistica consacrazione. La folgorante bellezza dell’opera risiede nella sua austera purezza, che guarda all’essenza, alla radice del linguaggio cinematografico, come un saggio supremo di escatologia morale.

Voto:
voto: 5/5

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