Storia di Balthazar, un asino che cambia
tanti padroni: dal piccolo Jacques al brutale Gèrard, dall’alcolizzato Arnold
ad un avaro imprenditore di acqua minerale, passando per un circo itinerante.
Maltrattato e vessato in ogni modo possibile, l’animale tornerà sotto le cure
di Marie, una ragazza “selvatica” che già lo accudiva in passato, essendo amica
di Jacques, al quale adesso è promessa in sposa. La triste vicenda di Balthazar,
calpestato dalla vita e dalla crudeltà umana, si sovrappone a quella di Marie,
sessualmente abusata dal diabolico Gèrard. Capolavoro assoluto di Bresson, che
qui realizza il suo film migliore, descrivendo, tra brutalità e tenerezza, un
tragico spaccato di un contesto rurale gretto, disumano, cinico, pronto a
sottomettere i più deboli in nome del proprio egoismo. Con il consueto rigore
stilistico, messa in scena asettica e linguaggio essenziale, privo di voli
aulici in favore di un solenne minimalismo, l’autore inscena una metafora
straziante dell’umana crudeltà e della perdita dell’innocenza, in un mondo in
cui la barbarie sospinge gli umili nel baratro della sofferenza. La figura
dell’asino, eterno simbolo di pazienza, diventa qui lo specchio in cui si
riflette una società disumana che ha smarrito ogni forma di empatia con il
prossimo, la sua triste parabola ed il suo vano calvario divengono allegoria
del ruolo che la storia riserva ai deboli, ai remissivi, ai mansueti. Il legame
tra i destini di Balthazar e Marie, vittime inermi di una sistema prevaricatore,
dà forma concreta, attraverso immagini possenti e spesso povere di dialoghi, al
male che è nell’uomo, quello assoluto, kantiano, rappresentato dal personaggio
di Gèrard. Le sequenze in cui questi seduce Marie, corrompendone l’aspra
integrità e bruciandone per sempre la purezza, sono tra le più drammatiche del
cinema di Bresson, sebbene il tono si mantenga sempre lucido, asciutto, privo
di ogni indugio morboso. Da questo momento in poi il percorso della ragazza
sarà segnato, il suo cuore indurito ed il suo corpo condannato alla
sottomissione nei confronti di occasionali “padroni”, proprio come l’asino Balthazar.
La dolente figura dell’animale, solitamente accompagnato da pregiudizi di
stupidità, è ricollegabile all’idiota di Dostoevskij, uno dei riferimenti
letterari abituali del regista, per il suo subire incondizionatamente ogni
sorta di angheria, rimanendo però integro, saldo, immutabile. Impreziosito
dalla colonna sonora classica, le sonate di Schubert, che gli conferiscono un
alone sacrale, questo capolavoro etico riscatta il cupo pessimismo che ne pervade
l’essenza, con i momenti lirici, che vibrano di alta poesia e di solenne
spessore morale. L’ascetismo intellettuale dell’autore, se non concede ai suoi
eroi sconfitti il beneficio della pietà, gli offre, di contro, la gloria di una
dimensione universale, che sconfina nella mistica consacrazione. La folgorante
bellezza dell’opera risiede nella sua austera purezza, che guarda all’essenza,
alla radice del linguaggio cinematografico, come un saggio supremo di
escatologia morale.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento