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Zelanda, anni ’50: Juliet e Pauline sono due adolescenti compagne di scuola,
che vivono un’amicizia intensa ai limiti del morboso, con evidenti segnali di
attrazione sessuale. Vessate da una società bigotta e perbenista, da donne
algide ed arcigne che ne tarpano l’esuberanza e ne mortificano la ribellione,
le due ragazze si rifugiano in un mondo di fantasia, un universo fantastico
popolato da figure mitiche ed emblematiche, attraverso il quale fuggire dalla
scomoda realtà per vivere il proprio rapporto “pericoloso”. Ma quando la madre di
Pauline minaccia di separarle, la ragazza non esita ad ucciderla, pur di proseguire
il suo idillio immaginario con l’amica del cuore. Ispirato ad uno scioccante e
reale fatto di cronaca nera, che sconvolse l’opinione pubblica neozelandese
negli anni ’50, questo dramma “proibito” e visionario di Peter Jackson, che lo
fece conoscere al mondo molti anni prima di sbarcare nella Terra di Mezzo, è
una tragica storia d’amore adolescenziale sospesa tra iperbole e impudenza. Acclamato
dalla critica e premiato al Festival del Cinema di Venezia con il Leone
d’Argento alla regia, è una triste vicenda di delitti “innocenti”, raccontata
con coraggio ed enfasi stilistica tra brutale e surreale, follia ed incanto,
violenza e magia. Gli inserti fantastici del mondo immaginario delle due
protagoniste sono notevoli e dimostrano l’estro visionario del regista, che,
non a caso, stupirà a breve il pubblico per la potenza del suo sguardo nella
saga dell’Anello. Ma lo stile sovraeccitato e la forsennata ridondanza formale,
anch’essa tipica dell’autore neozelandese, non giovano all’equilibrio
complessivo, provocando costanti oscillazioni tra originalità e cattivo gusto.
I momenti migliori tra le sequenze ambientate nel mondo reale, sono quelli
inerenti ai rapporti familiari ed alla tensione erotica tre le due amiche,
raffigurati con estrema finezza di sfumature e con lucido rigore psicologico.
Tra derive horror, che sono nel DNA del regista, ed omaggi al mito Orson
Welles, Jackson ci regala un film imperfetto ma importante, sgradevole e
audace, focalizzato sul rapporto psicologico tra le due adolescenti e che
denota una notevole personalità artistica ed un originale senso lirico, che
regala brividi e non lascia indifferenti. Il film ha riacceso i riflettori su
un caso ormai dimenticato (e già portato al cinema, ma con taglio più
giudiziario, nel 1971 dal francese Joël Séria), rivelando anche un dettaglio
scottante probabilmente sfuggito ai più: ovvero che la complice del delitto, Juliet
Hulme, è poi diventata, sotto pseudonimo, una scrittrice di romanzi gialli,
estremamente prolifica e di discreto successo. Lo sguardo sfacciato del regista
non fa sconti e se, da un lato, critica aspramente la sterile rigidità di una
società retrograda, dall’altro finisce per condannare, altresì, l’insana follia
delle due giovani ribelli, che non si sono dimostrate migliori delle loro
intolleranti madri. E’ stata la pellicola d’esordio di una giovane Kate
Winslet, intensa e sorprendente nel ruolo di Juliet, che rivelò così al mondo
il suo grande talento, prima di salire a bordo del Titanic.
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