mercoledì 18 febbraio 2015

Creature del cielo (Heavenly Creatures, 1994) di Peter Jackson

Nuova Zelanda, anni ’50: Juliet e Pauline sono due adolescenti compagne di scuola, che vivono un’amicizia intensa ai limiti del morboso, con evidenti segnali di attrazione sessuale. Vessate da una società bigotta e perbenista, da donne algide ed arcigne che ne tarpano l’esuberanza e ne mortificano la ribellione, le due ragazze si rifugiano in un mondo di fantasia, un universo fantastico popolato da figure mitiche ed emblematiche, attraverso il quale fuggire dalla scomoda realtà per vivere il proprio rapporto “pericoloso”. Ma quando la madre di Pauline minaccia di separarle, la ragazza non esita ad ucciderla, pur di proseguire il suo idillio immaginario con l’amica del cuore. Ispirato ad uno scioccante e reale fatto di cronaca nera, che sconvolse l’opinione pubblica neozelandese negli anni ’50, questo dramma “proibito” e visionario di Peter Jackson, che lo fece conoscere al mondo molti anni prima di sbarcare nella Terra di Mezzo, è una tragica storia d’amore adolescenziale sospesa tra iperbole e impudenza. Acclamato dalla critica e premiato al Festival del Cinema di Venezia con il Leone d’Argento alla regia, è una triste vicenda di delitti “innocenti”, raccontata con coraggio ed enfasi stilistica tra brutale e surreale, follia ed incanto, violenza e magia. Gli inserti fantastici del mondo immaginario delle due protagoniste sono notevoli e dimostrano l’estro visionario del regista, che, non a caso, stupirà a breve il pubblico per la potenza del suo sguardo nella saga dell’Anello. Ma lo stile sovraeccitato e la forsennata ridondanza formale, anch’essa tipica dell’autore neozelandese, non giovano all’equilibrio complessivo, provocando costanti oscillazioni tra originalità e cattivo gusto. I momenti migliori tra le sequenze ambientate nel mondo reale, sono quelli inerenti ai rapporti familiari ed alla tensione erotica tre le due amiche, raffigurati con estrema finezza di sfumature e con lucido rigore psicologico. Tra derive horror, che sono nel DNA del regista, ed omaggi al mito Orson Welles, Jackson ci regala un film imperfetto ma importante, sgradevole e audace, focalizzato sul rapporto psicologico tra le due adolescenti e che denota una notevole personalità artistica ed un originale senso lirico, che regala brividi e non lascia indifferenti. Il film ha riacceso i riflettori su un caso ormai dimenticato (e già portato al cinema, ma con taglio più giudiziario, nel 1971 dal francese Joël Séria), rivelando anche un dettaglio scottante probabilmente sfuggito ai più: ovvero che la complice del delitto, Juliet Hulme, è poi diventata, sotto pseudonimo, una scrittrice di romanzi gialli, estremamente prolifica e di discreto successo. Lo sguardo sfacciato del regista non fa sconti e se, da un lato, critica aspramente la sterile rigidità di una società retrograda, dall’altro finisce per condannare, altresì, l’insana follia delle due giovani ribelli, che non si sono dimostrate migliori delle loro intolleranti madri. E’ stata la pellicola d’esordio di una giovane Kate Winslet, intensa e sorprendente nel ruolo di Juliet, che rivelò così al mondo il suo grande talento, prima di salire a bordo del Titanic.

Voto:
voto: 4/5

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