In
un futuro imprecisato le guerre sono state abolite, ma lo sfogo degli istinti
aggressivi, tipici dell’uomo, viene garantito attraverso un crudele gioco di
caccia all’uomo, in cui ciascun partecipante si alterna nel ruolo di preda e di
cacciatore, fino alla morte di uno dei due contendenti. Il gioco viene
trasmesso, con grande enfasi, in diretta televisiva ed i campioni più longevi
sono equiparati a delle star internazionali per la notorietà che hanno
raggiunto. Il regolamento prevede che, chi per primo riuscirà a vincere dieci
cacce, sarà eletto campione Decathlon. La bella americana Caroline Meredith,
che è riuscita a superare indenne nove incontri, uccidendo sempre i suoi
avversari, è ad un passo dal prestigioso riconoscimento ma, per raggiungerlo,
deve eliminare la vittima che le è stata designata dall’estrazione
computerizzata: l’italiano Marcello Poletti, negligente e senza particolari
abilità, che ha superato incolume sei cacce per pura fortuna. Interessante
commistione tra fantascienza, dramma e commedia, con picchi satirici irridenti
e lampi visionari degni del regista, che qui si cimenta in un genere inusuale
per lui e per il cinema italiano. Tratto dal racconto breve “La settima vittima” di Robert Sheckley,
di cui sovverte clamorosamente il finale, è un film disomogeneo che ha i suoi
punti di forza nelle ambientazioni geometriche, nell’estetica antirealistica e
cromaticamente vivace, intrisa delle suggestioni “pop art” tipiche del tempo,
di cui incarna perfettamente l’esuberanza visiva e lo straniamento
anacronistico. In tal senso la pellicola restituisce con precisione il sapore
dell’epoca e le sue ammalianti atmosfere “arty” possono essere accostate a
quelle del Diabolik di Mario Bava,
opera di culto per gli amanti del cinema di genere italiano. La vicenda
fantastica, ereditata dal romanzo ispiratore, viene utilizzata da Petri,
attraverso gli strumenti espressivi tipici della nostra commedia nobile, per
tracciare una beffarda critica ai mass media, che, con la loro invadenza
gratuita, portano in scena lo “spettacolo” del dolore per alimentare il
voyeurismo di massa. Anche il sistema capitalistico occidentale non sfugge alla
caustica denuncia dell’autore, che ne evidenzia il lato oscuro, la perversione
omologatrice, che tende a considerare tutto, persino l’uomo, come un prodotto
di consumo, da sottoporre alle feroci regole del ciclo produttivo, finalizzato
al profitto, ed alla rapida sostituzione del “bene”, facilmente sacrificabile
in nome di queste, se non più necessario. Quello che però non convince è
l’estrema esiguità della vicenda, banalizzata da un maldestro epilogo
sentimentale che non rende giustizia né al libro di Sheckley, né alle
affascinanti atmosfere dell’opera, né alla carriera dell’autore, solitamente
ben più cinico e mordace. Vale come modello storico e di costume di un periodo
di enorme vitalità del nostro cinema, che ha spinto i più disparati registi a
sperimentare linguaggi e forme espressive nuove, con una contagiosa spudoratezza
che, spesso, ha portato a risultati eccellenti, oggi irripetibili. Nel cast
svettano i due protagonisti: un inedito Marcello Mastroianni, con i capelli
ossigenati, ed una prorompente Ursula Andress, che conferma le sue doti di
bomba sexy che l’hanno resa celebre.
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