giovedì 26 febbraio 2015

La decima vittima (La decima vittima, 1965) di Elio Petri

In un futuro imprecisato le guerre sono state abolite, ma lo sfogo degli istinti aggressivi, tipici dell’uomo, viene garantito attraverso un crudele gioco di caccia all’uomo, in cui ciascun partecipante si alterna nel ruolo di preda e di cacciatore, fino alla morte di uno dei due contendenti. Il gioco viene trasmesso, con grande enfasi, in diretta televisiva ed i campioni più longevi sono equiparati a delle star internazionali per la notorietà che hanno raggiunto. Il regolamento prevede che, chi per primo riuscirà a vincere dieci cacce, sarà eletto campione Decathlon. La bella americana Caroline Meredith, che è riuscita a superare indenne nove incontri, uccidendo sempre i suoi avversari, è ad un passo dal prestigioso riconoscimento ma, per raggiungerlo, deve eliminare la vittima che le è stata designata dall’estrazione computerizzata: l’italiano Marcello Poletti, negligente e senza particolari abilità, che ha superato incolume sei cacce per pura fortuna. Interessante commistione tra fantascienza, dramma e commedia, con picchi satirici irridenti e lampi visionari degni del regista, che qui si cimenta in un genere inusuale per lui e per il cinema italiano. Tratto dal racconto breve “La settima vittima” di Robert Sheckley, di cui sovverte clamorosamente il finale, è un film disomogeneo che ha i suoi punti di forza nelle ambientazioni geometriche, nell’estetica antirealistica e cromaticamente vivace, intrisa delle suggestioni “pop art” tipiche del tempo, di cui incarna perfettamente l’esuberanza visiva e lo straniamento anacronistico. In tal senso la pellicola restituisce con precisione il sapore dell’epoca e le sue ammalianti atmosfere “arty” possono essere accostate a quelle del Diabolik di Mario Bava, opera di culto per gli amanti del cinema di genere italiano. La vicenda fantastica, ereditata dal romanzo ispiratore, viene utilizzata da Petri, attraverso gli strumenti espressivi tipici della nostra commedia nobile, per tracciare una beffarda critica ai mass media, che, con la loro invadenza gratuita, portano in scena lo “spettacolo” del dolore per alimentare il voyeurismo di massa. Anche il sistema capitalistico occidentale non sfugge alla caustica denuncia dell’autore, che ne evidenzia il lato oscuro, la perversione omologatrice, che tende a considerare tutto, persino l’uomo, come un prodotto di consumo, da sottoporre alle feroci regole del ciclo produttivo, finalizzato al profitto, ed alla rapida sostituzione del “bene”, facilmente sacrificabile in nome di queste, se non più necessario. Quello che però non convince è l’estrema esiguità della vicenda, banalizzata da un maldestro epilogo sentimentale che non rende giustizia né al libro di Sheckley, né alle affascinanti atmosfere dell’opera, né alla carriera dell’autore, solitamente ben più cinico e mordace. Vale come modello storico e di costume di un periodo di enorme vitalità del nostro cinema, che ha spinto i più disparati registi a sperimentare linguaggi e forme espressive nuove, con una contagiosa spudoratezza che, spesso, ha portato a risultati eccellenti, oggi irripetibili. Nel cast svettano i due protagonisti: un inedito Marcello Mastroianni, con i capelli ossigenati, ed una prorompente Ursula Andress, che conferma le sue doti di bomba sexy che l’hanno resa celebre.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento