La bella Raimunda, ragazza madre, ha lasciato
il suo paesino rurale de La
Mancha, gettandosi alle spalle un doloroso passato, per
rifarsi una vita a Madrid insieme a suo marito Paco, sua figlia Paula e la sua devota
sorella Sole. Ma quando la giovane Paula uccide il patrigno Paco, per
difendersi da un tentativo di violenza sessuale, la risoluta Raimunda non esita
a nasconderne il corpo, coprendo totalmente la figlia e mettendo tutto a
tacere. Ma quando il “fantasma” di sua madre, morta in un tragico incendio anni
prima, ricompare dalle nebbie del tempo, mostrandosi prima a Sole, Raimunda è
costretta a regolare i conti con il suo passato. “Volver” in spagnolo significa
tornare e questo è, infatti, un film pieno di ritorni per Almodovar: il ritorno
alle sue origini, sia geografiche (egli è nato nella regione “manchega”) che
cinematografiche (le prime opere di ambientazione popolare e familiare), il
ritorno delle sue attrici (Carmen Maura e, soprattutto, Penelope Cruz), il
ritorno al proprio passato, quello della protagonista e quello dell’autore. In una
sequenza, emblematica, vediamo passare in tv alcuni frammenti di Bellissima di Luchino Visconti, recitato
dalla grandissima Anna Magnani, quasi a voler chiarire, con questo gustoso
omaggio, il tono del film e la cifra stilistica del personaggio di Raimunda:
una Penelope Cruz mai così intensa, così bella e così toccante, in un personaggio
femminile talmente umano, che sembra sottratto dalla straordinaria galleria
di donne forti dell’attrice romana, icona
del nostro neorealismo. In questo struggente dramma intergenerazionale, che
oscilla tra lirismo sublime, graffi sanguigni di natura farsesca, guizzi
surreali di suggestione grottesca, perfide pennellate da commedia nera ed una
dimensione favolistica di onirica sospensione, tutto funziona alla perfezione:
i colori caldi, gli sguardi intensi, un meraviglioso ensemble femminile che scalda il cuore, una toccante umanità velata
di malinconia, le occhiate in campo/contro campo tra madri e figlie che,
attraverso tre generazioni, vedono gli errori dei padri riflettersi sul
presente in modo incancellabile. Magistrale la regia di Almodovar, matura e pregnante,
con il tocco leggiadro e la grazia sopraffina del grande cinema classico, che
ci conduce, insieme a Raimunda, nel cuore della sua terra assolata e spazzata
dal solano, vento occidentale che attizza gli incendi e scuote le coscienze,
terra magica di mulini a vento e di viaggi, anzi ritorni, di memoria picaresca.
Menzione speciale per il sontuoso cast femminile che tiene il ritmo della Cruz,
candidata all’Oscar per l’occasione, per la magnifica fotografia dai toni caldi
di Josè Alcaine e per la suggestiva colonna sonora di Alberto Iglesias. Tra le
tante sequenze straordinarie voglio ricordare quella del ristorante, in cui
Raimunda canta e balla il tango “Volver”, tramutato in flamenco, davanti alla
figlia e alla madre che la spia di nascosto, momento emblematico del film e del
cinema di Almodovar, perché ne riassume tutta la vitalità, la carica sensuale,
l’ardore appassionato, il disincanto nostalgico e la capacità di sdrammatizzare
le tragedie della vita attraverso la possente bellezza di un gesto. Questo è il
Pedro che amiamo, che non ci stancheremo mai di guardare e, di fronte al quale,
non si può far che altro che tirar giù il cappello.
Voto:
A chella PENELOPE! ;)
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