mercoledì 4 febbraio 2015

Volver - Tornare (Volver, 2006) di Pedro Almodóvar

La bella Raimunda, ragazza madre, ha lasciato il suo paesino rurale de La Mancha, gettandosi alle spalle un doloroso passato, per rifarsi una vita a Madrid insieme a suo marito Paco, sua figlia Paula e la sua devota sorella Sole. Ma quando la giovane Paula uccide il patrigno Paco, per difendersi da un tentativo di violenza sessuale, la risoluta Raimunda non esita a nasconderne il corpo, coprendo totalmente la figlia e mettendo tutto a tacere. Ma quando il “fantasma” di sua madre, morta in un tragico incendio anni prima, ricompare dalle nebbie del tempo, mostrandosi prima a Sole, Raimunda è costretta a regolare i conti con il suo passato. “Volver” in spagnolo significa tornare e questo è, infatti, un film pieno di ritorni per Almodovar: il ritorno alle sue origini, sia geografiche (egli è nato nella regione “manchega”) che cinematografiche (le prime opere di ambientazione popolare e familiare), il ritorno delle sue attrici (Carmen Maura e, soprattutto, Penelope Cruz), il ritorno al proprio passato, quello della protagonista e quello dell’autore. In una sequenza, emblematica, vediamo passare in tv alcuni frammenti di Bellissima di Luchino Visconti, recitato dalla grandissima Anna Magnani, quasi a voler chiarire, con questo gustoso omaggio, il tono del film e la cifra stilistica del personaggio di Raimunda: una Penelope Cruz mai così intensa, così bella e così toccante, in un personaggio femminile talmente umano, che sembra sottratto dalla straordinaria galleria di  donne forti dell’attrice romana, icona del nostro neorealismo. In questo struggente dramma intergenerazionale, che oscilla tra lirismo sublime, graffi sanguigni di natura farsesca, guizzi surreali di suggestione grottesca, perfide pennellate da commedia nera ed una dimensione favolistica di onirica sospensione, tutto funziona alla perfezione: i colori caldi, gli sguardi intensi, un meraviglioso ensemble femminile che scalda il cuore, una toccante umanità velata di malinconia, le occhiate in campo/contro campo tra madri e figlie che, attraverso tre generazioni, vedono gli errori dei padri riflettersi sul presente in modo incancellabile. Magistrale la regia di Almodovar, matura e pregnante, con il tocco leggiadro e la grazia sopraffina del grande cinema classico, che ci conduce, insieme a Raimunda, nel cuore della sua terra assolata e spazzata dal solano, vento occidentale che attizza gli incendi e scuote le coscienze, terra magica di mulini a vento e di viaggi, anzi ritorni, di memoria picaresca. Menzione speciale per il sontuoso cast femminile che tiene il ritmo della Cruz, candidata all’Oscar per l’occasione, per la magnifica fotografia dai toni caldi di Josè Alcaine e per la suggestiva colonna sonora di Alberto Iglesias. Tra le tante sequenze straordinarie voglio ricordare quella del ristorante, in cui Raimunda canta e balla il tango “Volver”, tramutato in flamenco, davanti alla figlia e alla madre che la spia di nascosto, momento emblematico del film e del cinema di Almodovar, perché ne riassume tutta la vitalità, la carica sensuale, l’ardore appassionato, il disincanto nostalgico e la capacità di sdrammatizzare le tragedie della vita attraverso la possente bellezza di un gesto. Questo è il Pedro che amiamo, che non ci stancheremo mai di guardare e, di fronte al quale, non si può far che altro che tirar giù il cappello.

Voto:
voto: 4,5/5

1 commento: