Ree Dolly, sedicenne grintosa che vive in
una remota zona montuosa del Missouri, porta sulle spalle il peso della sua
famiglia, con un padre carcerato per spaccio di stupefacenti, una madre
psichicamente instabile e due fratellini piccoli da far crescere. Ma la già
complessa situazione precipita quando la ragazza scopre che lo sciagurato padre
ha impegnato la loro casa per uscire su cauzione, e, non essendosi presentato
all’udienza di comparizione, ne ha
innescato il meccanismo di confisca da parte della polizia. Ree ha una
settimana di tempo per ritrovare il padre e riportarlo alla ragione, prima di
perdere ogni cosa. Eccellente esempio di cinema indipendente americano,
acclamato al Sundance Film Festival, e costruito su un’idea estetica forte: il
freddo delle ambientazioni che diventa immagine pregnante, attraverso la bella
fotografia desaturata di Michael McDonough. La Granik porta in scena, con
crudo realismo e vigore espressivo, un universo di reietti, la faccia sporca di
una spregevole America di provincia, lontanissima dagli stereotipi edificanti
hollywoodiani, in cui gli unici valori positivi vengono dal coraggio genuino,
ed incosciente, della giovinezza, qui incarnata dalla bravissima Jennifer
Lawrence (alla sua prima nomination agli Oscar), che in questo film algido ha
rivelato al mondo il suo talento. La ricerca del padre attraverso un’umanità
sudicia, che sguazza nel degrado morale, diventa metafora di un viaggio
iniziatico, un percorso di crescita doloroso e necessario, come quello
dell’eroina, cresciuta troppo in fretta, di una favola oscura, che scava nelle
radici dell’identità culturale americana, in cerca di quell’anima rurale e selvaggia
che ha fornito la spinta decisiva al pionierismo e alla colonizzazione
dell’ovest. Come una tormentata ballata folk, il film snoda le sue propaggini
emotive attraverso i boschi desolati delle Ozark Mountains, sovrapponendo di
continuo il volto risoluto della giovane Ree al gelido rigore dell’inverno, i
due assoluti protagonisti dell’opera che si affrontano a viso aperto, nel
crudele gioco della vita. Da una regista esordiente un film compatto, teso e
maturo, genuina espressione artistica di quel cinema “indie” che è, quasi
sempre, garanzia di personalità.
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