martedì 10 febbraio 2015

L'ultimo imperatore (The Last Emperor, 1987) di Bernardo Bertolucci

Vita di Pu-Yi, ultimo imperatore cinese: dalla solenne incoronazione, da bambino, nella Città Proibita alla sua educazione influenzata dalla cultura occidentale, grazie al saggio precettore inglese, dalla reggenza fittizia del “Manciukuo”, sotto il dominio giapponese, alla prigionia politica come “traditore”, dal periodo siberiano in mano ai russi all’anonima morte, avvenuta in piena Rivoluzione culturale. Colossale biografia storica di Bertolucci, di ampio respiro e di potente concezione, straordinaria per la ricostruzione ambientale, la fotografia pittorica (del grande Vittorio Storaro), un apparato tecnico di prim’ordine ed un’opulenza visiva che traspare da ogni dettaglio: costumi, scenografie, comparse. E’, probabilmente, l’ultimo kolossal del cinema moderno, unanimemente acclamato ed incoronato dall’Academy Awards con ben 9 Oscar su 9 nomination (miglior film, regia, sceneggiatura, fotografia, scenografie, costumi, montaggio, sonoro e colonna sonora). Straordinaria la fusione operata dall’autore parmense tra l’elevata spettacolarità formale, che guarda al cinema americano di DeMille, e la sua dimensione anti-epica, che rappresenta, in una cornice sontuosa, un malinconico ritratto di solitudine, il ritratto di un uomo debole, decadente, schiacciato dal peso di un destino, e di un ruolo, ben più grande di lui, ed eternamente prigioniero, prima tra le mura dorate della Città Proibita e poi nelle mani di invasori stranieri o antagonisti politici che lo hanno, inevitabilmente, manipolato. Alle dolorose vicende umane di Pu-Yi, raccontate in flashback, fa da sfondo un affresco sterminato della recente storia cinese, dal 1908 al 1967, raccontata con realismo, e senza enfasi, dall’autore, nei suoi passaggi epocali dal medioevo imperiale al comunismo maoista, passando per la drammatica invasione giapponese, durante la seconda guerra mondiale, con cui Pu-Yi, pavidamente, collaborò pur di mantenere una parvenza di trono. Ma l’analisi spietata, e distante da qualunque tentazione agiografica, del regista, è principalmente interessata all’uomo Pu-Yi, alla sua personalità schiva, elegante, ma debole, inadatta a sostenere il peso impostogli dalla Storia. E, come sempre, l’indagine di  Bertolucci si spinge anche nella sfera sessuale, attraverso alcune scene di notevole fascino simbolico e di onirica connotazione erotica, come il triangolo amoroso nascosto dalle preziose lenzuola o quella da cui, circondato dai corpi nudi degli eunuchi, traspare l’inclinazione omosessuale di Pu-Yi, comprovata dalle fonti storiche e solo velatamente accennata dal regista. Tra eleganza, decadenza, incanto, meraviglia, qualche prolissità e qualche sprazzo accademico, la pellicola ci offre, nelle sue quasi tre ore di durata, uno spettacolo maestoso e possente, tra i più alti nella storia contemporanea del cinema storico. E’ stato l’unico film ad ottenere il permesso di girare nell’interno della Città Proibita, consentendo così ad occhi occidentali di “profanare” un inaccessibile luogo di solennità millenaria, ed è stato il film italiano, sebbene in coproduzione, a vincere il maggior numero di premi Oscar. La memorabile sequenza dell’incoronazione del bambino Pu-Yi, eletto a soli 3 anni “figlio del Cielo”, davanti a oltre ventimila comparse, toglie il fiato e vale, già da sola, il prezzo del biglietto.

Voto:
voto: 4,5/5

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