martedì 17 febbraio 2015

Ed Wood (Ed Wood, 1994) di Tim Burton

Biografia grottesca, e carica di tenerezza, di Edward D. Wood Jr., definito da molti critici del suo tempo “il peggior regista di tutti i tempi”. Wood, stralunato, vivace, pittoresco, frettoloso, incapace di relazionarsi al prossimo in maniera tradizionale, pieno di fisime e di manie (come quella di indossare abiti femminili), ha attraversato la Hollywood anni ’50 alla sua maniera: con estro confusionario e toccante ingenuità, realizzando, con chiassoso entusiasmo, una serie di b-movies a basso costo dal disastroso esito commerciale. Nel film, che approfondisce l’ambigua personalità del protagonista attraverso inserti surreali di mirabile carica fantastica, ci si sofferma su due episodi cruciali della vita del maldestro regista: l’incontro con l’ungherese Bela Lugosi, vecchia star del cinema horror delle origini, ormai caduto nel dimenticatoio ed afflitto da miseria e malattie, e quello con il leggendario Orson Welles, indiscusso padre del cinema moderno. Lugosi sarà protagonista dei primi film del regista, che allaccerà con lui una strana ma sincera amicizia e che lo assisterà fino alla morte, senza mai abbandonarlo. Da Welles, invece, Wood saprà trarre l’ispirazione per il suo film più famoso e meno scalcinato: l’horror fantascientifico Plan 9 from Outer Space, divenuto, negli anni, oggetto di culto per gli appassionati del trash vintage. Il visionario Tim Burton sceglie il goffo, ma creativo, Ed Wood, icona negativa di un cinema “basso” ed approssimativo, per tracciare un vibrante omaggio della sua professione, attraverso una sincera elegia sopra le righe del cinema del passato, raccontata con struggente nostalgia. Con una splendida fotografia in bianco e nero che restituisce l’aria dei tempi, l’autore tesse un nuovo elogio della diversità, attraverso l’ennesimo personaggio alienato, incompreso, inadatto, ancora una volta interpretato dal fido trasformista Johnny Depp, e caricandolo di un’energia strampalata, di un’aura spudorata, spesso dissennata ma non priva di genialità, che vira nella sublimazione mitica. L’affetto “mimetico” di Burton per Wood è evidente fin dalle prime immagini, al punto da trasferirgli alcune delle sue ossessioni personali, come l’attitudine di giocare con i generi cinematografici per stravolgerne i codici o la ricerca di nuove forme espressive attraverso l’iperbole stilistica, obbediente al furore istintivo più che al raziocinio narrativo. Il transfert emotivo tra i due registi raggiunge l’apice della genialità espressiva nel momento in cui Wood, e quindi Burton, identifica allegoricamente i suoi improbabili mostri cinematografici, sempre sul filo del ridicolo involontario, con le figure saccenti e conformiste (i critici, i produttori ed i guru dell’industria hollywoodiana) che tarpano le sue piccole ali di artista emarginato. Sincero e toccante, accorato e malinconico, eccessivo ed irresistibile, Ed Wood è il miglior film del regista californiano, in cui svetta un intenso Martin Landau, premiato con l’Oscar come non protagonista, che ci offre un’interpretazione memorabile nel ruolo del vecchio Lugosi, emblema dolente della gloria effimera del successo e delle feroci leggi dello star system, pronte a portarti dalle stelle alla polvere in un battito di ciglia. Chi ha accusato Burton di aver fornito un ritratto di parte, indulgente e carico di ammirazione di Wood non dice una menzogna; ma i meriti e gli obiettivi del film non risiedono nel realismo, ma nell’elogio surreale di un’idea di cinema magica, libera, allegra, sregolata, evidentemente ingigantita dalla prospettiva appassionata di un cinefilo di razza, che si approccia ai propri obiettivi artistici con l’emotività entusiastica di un eterno fanciullo, sospeso tra genio e sogno. E la totale sovrapposizione tra Burton e il suo idolo è la cifra stilistica autentica dell’opera, la sola in cui può essere letta: una biografia antirealistica che ci mostra il mondo in soggettiva, attraverso lo sguardo trasognato di Ed Wood. E di Tim Burton.

Voto:
voto: 4/5

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