Nelle retrovie della guerra di Corea, in un ospedale da campo americano,
tre ufficiali chirurghi, burloni ed insofferenti alle regole militari,
creano un loro personale angolo di evasione goliardica, fatto di burle
irriverenti e scherzi atroci nei confronti dei colleghi, delle belle
infermiere e senza risparmiare neppure i superiori. Nonostante le frequenti ramanzine e punizioni, i tre giocherelloni
non cambieranno mai e toccheranno l’apice derisorio durante un torneo di
football americano organizzato da un generale: per vincere la partita decisiva
inietteranno tranquillanti agli avversari. Capolavoro di geniale irriverenza
dissacratoria, irresistibile, mordace, spudorato, sboccato, stralunato. Distrugge,
con la sua corrosiva derisione, la retorica dell’eroismo patriottico ed il
dogmatismo fanatico del militarismo, cambiando per sempre il modo hollywoodiano
di raccontare la guerra, come una sorta di “peccato originale” della satira
militare. Dal vulcanico magma di personaggi fuori di testa e situazioni
irriverenti, emerge l’ironia tagliente e beffarda del regista, che, come un
uragano iconoclasta, trascina tutto con sé nella sua corrente demistificatrice,
senza risparmiare nemmeno i miti istituzionali quali religione, moralismo e
persino il football americano, lo sport nazionale. Diede il successo mondiale
al “diabolico” contestatore Robert Altman, che qui, forte dell’energia degli
“esordienti”, ha raggiunto l’apice della sua vena dissacratoria. Sebbene il
film sia ambientato in Corea, sembrò a tutti evidente, che l’autore intendesse
parlare del Vietnam, senza però mai nominarlo, sia per esorcizzarne, a livello
inconscio e con assoluto coraggio, l’impatto angosciante che aveva
sull’opinione pubblica del tempo, sia per attuare il suo lucido progetto di
caustica denuncia attraverso il linguaggio pungente della farsa. Malgrado le
pressioni produttive il grande regista non rinunciò a nessuna delle sue
provocazioni, dal linguaggio scurrile alle scene cruente in sala operatoria,
dalle battute politicamente scorrette (quelle sessiste sono celeberrime) fino
alla parodia dell’ultima cena, che fece arrabbiare i cattolici. Ma i meriti
dell’opera risiedono anche negli alti valori tecnici e nella sua assoluta
originalità stilistica: la sintassi è libera, anarchica, debordante, le
sperimentazioni sono numerose, come la sovrapposizione dei dialoghi e dei punti
di vista, che poi troveranno magnifico compimento artistico nel famoso Altman
“corale” degli anni migliori. Lo sberleffo supremo è già nella canzone che apre
il film sui titoli di testa, composta dal figlio quattordicenne del regista ed
inneggiante al suicidio. Sotto la patina demenziale e grossolana, sulla quale
si soffermeranno i meno attenti, si nasconde uno dei più potenti ed
anticonvenzionali attacchi al militarismo mai compiuti dal cinema americano. Nell’ambito
delle satire contro la guerra è superato solo dal Dottor
Stranamore di Kubrick e da Vogliamo
vivere! di Lubitsch. Del grande cast citiamo Sally Kellerman, Donald
Sutherland, Elliott Gould, Robert Duvall, Tom Skerritt, tutti bravissimi. Il
film ebbe un grande successo di pubblico, vinse la Palma d’Oro al Festival del
Cinema di Cannes e l’Oscar alla migliore sceneggiatura. Ne fu tratta una
fortunata e celebre serie televisiva omonima, andata in onda, per 11 stagioni e
251 episodi, dal 1972 al 1983. Il titolo è l’acronimo di “Mobile Army Surgical Hospital”.
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