martedì 17 febbraio 2015

Big fish - Le storie di una vita incredibile (Big Fish, 2003) di Tim Burton

Edward Bloom è un commesso viaggiatore, innamorato della vita e di sua moglie Sandra, dotato di una vivace fantasia e di una straordinaria capacità di raccontare storie, incredibili avventure fantastiche che hanno costellato la sua lunga esistenza, rendendola straordinaria. Ormai anziano e malato, fa fatica lui stesso a distinguere le parti reali da quelle immaginate, o “abbellite”, di quel lungo racconto che è ormai la sua vita. Il solo che resiste alle sue capacità di incantatore e che non crede alle tante mirabolanti storie, fatte da lupi mannari, streghe che leggono il futuro in un occhio di vetro, giganti tristi e buoni, gemelle siamesi coreane ed un grosso pesce di fiume impossibile da catturare, è suo figlio Edward, che ha sempre avuto un rapporto conflittuale con l’estroso genitore. Ma, in occasione della malattia del padre, Edward inizia a scavare nel suo passato, per capire quanto e cosa ci fosse di vero dietro le sue meravigliose storie. Ciò che scoprirà cambierà la sua vita per sempre. Delicata fiaba sentimentale, con retrogusto amaro, di Tim Burton che, nel celebrare il potere assoluto della fantasia come possente anelito vitale da opporre al tedio del banale quotidiano, ne fissa le coordinate emotive nel difficile rapporto tra un padre e un figlio, che costituisce il cuore intimo dell’opera. La ricerca di Edward, giovane ed incredulo, è un viaggio dell’anima, per scoprire le proprie radici e recuperare la magia dell’infanzia, il solo modo per poter “volare” nei mondi incantati dei racconti paterni. Strutturato su due piani narrativi, il vecchio Edward Bloom che narra storie ed il giovane Edward Bloom che, mentre le “vive”, ce le mostra sullo schermo, Big fish è anche un itinerario malinconico in quell’America rurale, ingenua e meravigliosa, che appartiene alla memoria delle passate generazioni e che, come tale, si riserva il dono di edulcorare il passato, per renderlo migliore. Questo processo emozionale, tipico dell’uomo, è quello che Burton sceglie, insieme al suo protagonista, come unica “verità”, perché in questo risiede la magia degli spiriti puri e creativi, che cercano l’arte in ogni singolo gesto. Pescando a piene mani dal suo esuberante immaginario fantasy, tra suggestioni gotiche e tocchi di intensa carica visionaria, tra il suo innato senso dell’orrido e l’anelito al meraviglioso, questo rarefatto idillio di formazione punta al cuore dello spettatore, sospeso sul filo sottile tra realtà e immaginazione. Ma se, da un lato, funziona egregiamente nel sancire la necessità della fiaba rispetto al doloroso vivere umano, dall’altro cade rovinosamente in un finale patetico, che sprizza retorica sentimentale oltre ogni limite tollerabile, nella sua ricerca della lacrima facile. Tra alti e bassi, poesia e ridondanze, il film è un grande circo delle meraviglie non sempre equilibrato, ma notevole per l’estro visivo che non è mai stato un problema per l’autore. Nel grande cast, composto da Ewan McGregor, Jessica Lange, Marion Cotillard, Billy Crudup, Helena Bonham Carter, il più convincente è Albert Finney nei panni del vecchio Bloom.

Voto:
voto: 3,5/5

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