Secondo
episodio della trilogia dell’Anello. La compagnia si è divisa: Frodo e Sam,
seguiti dal viscido Gollum, proseguono da soli il viaggio disperato verso la
terra del male ed il monte Fato, per distruggere l’anello di Sauron. Aragorn,
Legolas e Gimli cercano di liberare Merry e Pipino, catturati dagli orchi, ma
s’imbattono nei cavalieri di Rohan, fieri uomini del Mark guidati da Re
Theoden, caduto sotto una malia di Saruman, stregone bianco passato al lato
oscuro per impadronirsi dell’anello del potere. Gandalf, dato per morto nelle
miniere di Moria, ritorna dall’ombra più potente che mai ed aiuterà i suoi
nella disperata battaglia del fosso di Helm, contro un esercito di migliaia di
famelici orchi sguinzagliati da Saruman per distruggere il mondo degli uomini.
Dopo una prima parte che ha stuzzicato l’appetito, Jackson alza il tiro e dà
vita all’episodio migliore della trilogia, il più intenso, il più equilibrato,
sospeso tra il grande poema cavalleresco e l’avvincente avventura selvaggia,
con squarci lirici, inserti poetici e punte di eroismo che virano nel
mitologico. Lo sguardo dell’autore raggiunge, finalmente, il respiro possente
dell’epica attraverso personaggi e battaglie straordinarie, con momenti di alta
connotazione tragica che guardano ai testi sacri shakespeariani.
Indimenticabile la battaglia del fosso di Helm, di notte e sotto la pioggia, probabilmente
la più spettacolare mai vista al cinema, così come il prologo iniziale, che
rievoca la caduta di Gandalf, l’arrivo dei Rohirrim alla prima luce del quinto
giorno, la caduta di Isengard sotto la furia degli Ent e la caratterizzazione
del personaggio di Gollum, realizzato con la tecnica del performance capture,
ovvero l’elaborazione computerizzata di un’interpretazione reale, fornita
dall’attore Andy Serkis, segnando una nuova pietra miliare nella storia degli
effetti visivi. Le solite ridondanze, vezzo del regista, qualche scivolone nel
trash, come Legolas che fa lo skateboard sullo scudo, ed una posticcia
appendice amorosa a tre, non possono offuscare un’opera di alto rigore
espressivo e di travolgente forza epica. Vinse due Oscar tecnici su sei candidature.
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