Mark, giovane studente ribelle, è
ricercato dalla polizia di Los Angeles per la morte di un agente, avvenuta durante gli
scontri scoppiati al seguito di una rivolta studentesca in un campus. Braccato,
ruba un piccolo aereo e fugge a Zabriskie Point, in pieno deserto californiano.
Qui incontra Daria, giovane segretaria in viaggio verso Phoenix per una
vacanza. I due si amano appassionatamente nel panorama desolato della Death Valley, prima di separarsi. Mark,
pentito delle sue azioni, si dichiara innocente dell’omicidio del poliziotto e
torna indietro per riconsegnare l’aereo rubato, ma il finale sarà tragico. Lo Zabriskie
Point è il punto di massima depressione geologica degli Stati Uniti, situato
nella desertica “Valle della Morte” californiana. Un luogo ostile, lunare, inseminato,
dove non può crescere la vita, che Antonioni ha scelto, emblematicamente, come
affascinante ambientazione del suo primo film “americano”. Realizzato con un
alto budget, con attori non professionisti ed una lunga e travagliata
lavorazione, il film, indubbiamente pretenzioso, fu un flop assoluto al
botteghino, venne distrutto dalla critica americana e lasciò perplessa quella
italiana, trovando ben pochi estimatori. Il tempo gli ha garantito lo status di
cult movie, concedendogli la meritata
rivalutazione artistica. Ambizioso e provocatorio, Zabriskie Point è un’opera potente e psichedelica, che intende
condensare, in meno di due ore, le utopie delle rivolte giovanili degli anni
’60 e gli ideali della controcultura: le contestazioni studentesche, gli
scontri con la polizia, la fuga come idea mitica di rinuncia alle regole della
società reazionaria, l’amore libero come atto supremo, e politico, di
affermazione della propria indipendenza, i vagheggiamenti della rivoluzione
pacifista ed il sogno di abbattimento delle barriere sociali. Probabilmente
troppo per un film solo e per un regista come Antonioni, storicamente più a suo
agio con tematiche inerenti alla crisi esistenziale, all’incomunicabilità tra
esseri umani con relativo coinvolgimento dei rapporti sentimentali di coppia.
Ma Zabriskie Point è anche un film
sul vuoto, sulla sconfitta del modello capitalistico, sul fallimento delle
repressioni civili di fronte al crescente disagio giovanile, tematiche
politiche scottanti, affrontate però in maniera frettolosa, e con un
farraginoso dogmatismo ideologico di base, dal regista ferrarese, che qui tende
a smarrire la rotta creando una divergenza tra il sostrato psicologico e l’ingombrante
sovrastruttura intellettuale. Chi ci ha voluto vedere un film sull’America non ne
ha colto il senso reale, peccando della medesima superficialità contestata
all’autore. Zabriskie Point è, ancora
una volta, un film sulla crisi, applicata però ad un contesto sociale, politico
e filosofico ben più vasto, di cui la desolata ambientazione desertica
rappresenta il contraltare beffardo, oltre che il simbolo pregnante di una
ricerca di purezza assoluta. Ma, al di là delle ellissi concettuali, questa
surreale “favola” astratta, che vira nell’apocalittico nello stupefacente
finale, possiede i suoi punti di forza nei memorabili momenti onirici, che ne
riscattano la dignità formale, se non la piena legittimità teorica. Tra le
scene di volo alto, che hanno reso il film indimenticabile, vanno sicuramente
citate quella, eversiva, dell’amore di gruppo consumato nella desolazione del
deserto, con lo sguardo registico metaforicamente “distante”, e l’epilogo
anarchico, con la mega villa che esplode in mille pezzi, la visione della
sconsolata Daria che immagina la distruzione di quei modelli consumistici
responsabili del tragico destino di Mark. La sequenza dell’esplosione, ripetuta
fino allo sfinimento, e filmata da ben 17 macchine da presa in simultanea,
sulle splendide note dei Pink Floyd, è entrata nella storia del cinema e vale,
già da sola, come si suol dire, il prezzo del biglietto. Quest’opera
dissonante, irrisolta, magniloquente e disomogenea, è uno dei manifesti di quel
cinema, poetico e “maledetto”, che oggi sarebbe impossibile anche solo da
immaginare. Una menzione speciale per la colonna sonora altisonante, che
annovera tra i suoi crediti i Pink Floyd, i Kaleidoscope , i Grateful Dead ,
Jerry Garcia e John Fahey. Antonioni scartò alcuni temi appositamente composti dai
Pink Floyd per il film, uno dei quali sarà poi usato dalla celebre band inglese
per il leggendario brano “Us and them”
dell’album “The dark side of the moon”.
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