South Dakota, 1959: Holly, minorenne,
s’invaghisce di Kit, ribelle, violento e poco raccomandabile. Il padre di lei
si oppone con veemenza alla relazione, ma finisce ucciso dal giovane
scapestrato. I due amanti inizieranno una fuga dal mondo che li condanna e li
insegue, rifugiandosi nella natura selvaggia, ma lasceranno una lunga scia di
sangue sulla loro strada. Mirabile esordio del Maestro Terrence Malick con
quest’opera seminale, lucida, disincantata, a tratti inquietante, che rinnega
cinicamente l’utopia del sogno americano sull’altare del vuoto esistenziale di
una generazione sbandata, che ha smarrito l’innocenza e ricerca la purezza
nella violenza. Film di culto degli anni ’70, contiene già tutti gli stilemi
che poi saranno i marchi di fabbrica dell’autore: la voce fuori campo, la
solitudine dei personaggi, la natura sconfinata, la ricerca di una simbologia
astratta che attua una sospensione ideologica tra le immagini e gli eventi
narrati. La disamina analitica della psicologia dei due protagonisti, operata
dal regista, è feroce e si eleva in una lucida critica sociale verso quella
sottocultura, figlia diretta di vane chimere nazionalistiche, che ha generato
la deriva morale delle nuove generazioni. Intriso di romanticismo maledetto e
di naturalismo primitivo, questo selvaggio “on
the road” di Malick guarda al furore violento dei “B movies” di Joseph H. Lewis, in particolare quelli di gangsters,
rinnovandoli con uno stile nuovo, un linguaggio spiazzante, di rottura, rivolto
a quell’avanguardia espressiva di matrice europea. Con un tono glaciale,
antiretorico, scevro di ogni forma di spettacolarità, l’autore ci presenta
un’umanità debole, smarrita, disfunzionale, per cui la maestosa bellezza di una
natura impassibile, per nulla accogliente ma impervia e crudele, diventa lo
specchio beffardo del proprio inevitabile fallimento. Fin dalla sua opera prima
il regista texano si è posto come autore originale, ricercato, contro corrente,
latore di un’idea di cinema radicale, potente, isolato, filosofico, totalmente
alieno alle logiche commerciali hollywoodiane. Questo affascinante ed amaro Badlands contiene già la solitudine
meditativa e l’ontologia astratta delle sue opere più mature, saldamente
orbitanti intorno all’uomo, visto come entità perennemente “in itinere”, ed il suo rapporto simbiotico
con la natura. Il titolo italiano, molto più semplicistico ed effettistico, non
rende piena giustizia al senso di quello originale. Nel cast spiccano i due
protagonisti: l’intensa Sissy Spacek e il duro Martin Sheen, la cui performance
è un dichiarato omaggio a James Dean, icona sempiterna del maledettismo
giovanile. Questo piccolo grande film, che ha svelato al mondo il talento di
Malick, ha profondamente influenzato tanto cinema “on the road” successivo, da Sugarland
Express di Steven Spielberg a Cuore
Selvaggio di David Lynch, da Thelma
& Louise di Ridley Scott a Natural
Born Killers di Oliver Stone. Crudo e maestoso, categorico e sconcertante:
le radici di un genio.
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