La
bella Adriana lascia la provincia toscana d’origine e sbarca a Roma, inseguendo
il miraggio di sfondare nel mondo del cinema. In un ambiente ostile ed ipocrita
passerà tra diversi lavori di fortuna, subdoli corteggiatori, promesse mancate,
relazioni sentimentali deludenti, in cui la sua solare ingenuità viene
mortificata da un mondo cinico. Questo ritratto feroce dell’Italia del boom
economico, audace nella struttura e nella messa in scena, è il capolavoro
dell’autore, che, nella sua carriera, purtroppo tragicamente interrotta, ha
sempre guardato con particolare attenzione e sensibilità all’universo
femminile. Straordinaria Stefania Sandrelli, in una delle migliori interpretazioni
della sua carriera, nel dar vita a questa donna vulnerabile, sognante, imbronciata
a maliziosa, carica di aspettative, figlia dolente di una provincia bigotta,
che passa con rassegnata leggerezza da un incontro all’altro, celando un cupo
abisso di disperazione interiore. Una figura paradigmatica nella folta galleria
di protagoniste dell’autore, perfettamente inquadrata in un contesto storico
ricostruito con puntiglioso rigore: quello italiano degli anni ’60, in cui
l’entusiasmo post bellico per l’evidente accelerazione economica aveva diffuso
il concetto di benessere, dando vita a nuovi modelli sociali e culturali, ad
una maggiore spregiudicatezza dei costumi, rimpiazzando di colpo le antiche
radici patriarcali, retaggio della società contadina. Fu il regista a volere
assolutamente la Sandrelli,
qui al suo primo vero ruolo da protagonista assoluta, preferendola alle varie
ipotesi avanzate dalla produzione che volevano Natalie Wood o Brigitte Bardot. Anticipando
le atmosfere della rivolta femminista, il regista traccia un bilancio, in
perdita, della condizione femminile del suo tempo, non rinunciando ad un lucido
atto d’accusa verso il suo mondo, quello del cinema, che, sotto la patina
dorata, nasconde un meccanismo spietato che promette in fretta e dimentica in
minor tempo. L’affresco fornito da Pietrangeli è impietoso quanto veritiero:
quello di una “italietta” meschina e moralista, che si atteggia a nuova potenza
industriale ma mantiene immutati i suoi modi subdoli di viscido provincialismo.
I personaggi che gravitano intorno ad Adriana, un triste circo di profittatori
cinici, gretti e ruffiani, sono la logica espressione di questo conformismo dilagante,
che mina le basi della cultura e dell’etica popolare grazie alla sterile
omologazione imposta dalla mentalità consumistica. Tra questi spiccano, in
apparizioni brevi quanto pregnanti, Ugo Tognazzi (premiato con il Nastro
d’Argento), Enrico Maria Salerno e Nino Manfredi. La struttura del film è
divisa in episodi quasi disconnessi, ognuno dei quali corrisponde ad una
diversa fase, un nuovo lavoro, un nuovo incontro o una nuova pettinatura, dell’esperienza
romana di Adriana. La musica della colonna sonora, continua e spesso
assordante, costituita dalle hits dell’epoca, assume la funzione di un
surrogato emotivo, necessario a riempire i vuoti interiori della protagonista o
a distoglierla da pericolose riflessioni sulla sua squallida esistenza. Questa
splendida pellicola del dimenticato Pietrangeli è uno dei ritratti più lucidi,
amari e pungenti sull’illusione della felicità nella società del benessere
economico.
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