giovedì 26 febbraio 2015

Io la conoscevo bene (Io la conoscevo bene, 1965) di Antonio Pietrangeli

La bella Adriana lascia la provincia toscana d’origine e sbarca a Roma, inseguendo il miraggio di sfondare nel mondo del cinema. In un ambiente ostile ed ipocrita passerà tra diversi lavori di fortuna, subdoli corteggiatori, promesse mancate, relazioni sentimentali deludenti, in cui la sua solare ingenuità viene mortificata da un mondo cinico. Questo ritratto feroce dell’Italia del boom economico, audace nella struttura e nella messa in scena, è il capolavoro dell’autore, che, nella sua carriera, purtroppo tragicamente interrotta, ha sempre guardato con particolare attenzione e sensibilità all’universo femminile. Straordinaria Stefania Sandrelli, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera, nel dar vita a questa donna vulnerabile, sognante, imbronciata a maliziosa, carica di aspettative, figlia dolente di una provincia bigotta, che passa con rassegnata leggerezza da un incontro all’altro, celando un cupo abisso di disperazione interiore. Una figura paradigmatica nella folta galleria di protagoniste dell’autore, perfettamente inquadrata in un contesto storico ricostruito con puntiglioso rigore: quello italiano degli anni ’60, in cui l’entusiasmo post bellico per l’evidente accelerazione economica aveva diffuso il concetto di benessere, dando vita a nuovi modelli sociali e culturali, ad una maggiore spregiudicatezza dei costumi, rimpiazzando di colpo le antiche radici patriarcali, retaggio della società contadina. Fu il regista a volere assolutamente la Sandrelli, qui al suo primo vero ruolo da protagonista assoluta, preferendola alle varie ipotesi avanzate dalla produzione che volevano Natalie Wood o Brigitte Bardot. Anticipando le atmosfere della rivolta femminista, il regista traccia un bilancio, in perdita, della condizione femminile del suo tempo, non rinunciando ad un lucido atto d’accusa verso il suo mondo, quello del cinema, che, sotto la patina dorata, nasconde un meccanismo spietato che promette in fretta e dimentica in minor tempo. L’affresco fornito da Pietrangeli è impietoso quanto veritiero: quello di una “italietta” meschina e moralista, che si atteggia a nuova potenza industriale ma mantiene immutati i suoi modi subdoli di viscido provincialismo. I personaggi che gravitano intorno ad Adriana, un triste circo di profittatori cinici, gretti e ruffiani, sono la logica espressione di questo conformismo dilagante, che mina le basi della cultura e dell’etica popolare grazie alla sterile omologazione imposta dalla mentalità consumistica. Tra questi spiccano, in apparizioni brevi quanto pregnanti, Ugo Tognazzi (premiato con il Nastro d’Argento), Enrico Maria Salerno e Nino Manfredi. La struttura del film è divisa in episodi quasi disconnessi, ognuno dei quali corrisponde ad una diversa fase, un nuovo lavoro, un nuovo incontro o una nuova pettinatura, dell’esperienza romana di Adriana. La musica della colonna sonora, continua e spesso assordante, costituita dalle hits dell’epoca, assume la funzione di un surrogato emotivo, necessario a riempire i vuoti interiori della protagonista o a distoglierla da pericolose riflessioni sulla sua squallida esistenza. Questa splendida pellicola del dimenticato Pietrangeli è uno dei ritratti più lucidi, amari e pungenti sull’illusione della felicità nella società del benessere economico.

Voto:
voto: 4,5/5

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