mercoledì 11 febbraio 2015

Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer, 1979) di Robert Benton

Ted Kramer, agente pubblicitario, viene lasciato dalla moglie Johanna, in crisi esistenziale, che abbandona il tetto coniugale, determinata a ricostruire la sua vita. Ted, da sempre dedito al lavoro e poco incline alle quotidiane faccende domestiche, dovrà occuparsi della crescita del piccolo Bill, unico figlio della coppia, che la moglie, con evidenti problemi di depressione, non ha esitato a lasciargli in custodia prima di partire. Tra molte difficoltà iniziali, Ted riuscirà a cavarsela, costruendo un intenso rapporto con il figlio, ma, a causa dei maggiori impegni familiari, perderà il lavoro per i ritardi accumulati nella consegna di un importante progetto. Intanto Johanna si rifà viva e chiede l’affidamento del bambino, provocando l’ira di Ted. La questione finirà in tribunale, dando vita ad un’aspra “battaglia” tra i due, psicologica ed umana prima che legale. Dramma familiare appassionato e accattivante, ben scritto ed egregiamente recitato dall’ottimo cast, in cui spiccano i due protagonisti: Dustin Hoffman, nel ruolo di un padre tenero e fragile, dotato di una profonda carica umana, e Meryl Streep, nei panni della “cattiva” Johanna, che abbandona la famiglia per risolvere i suoi problemi interiori, salvo poi tornare a riprendersi il figlio con la “forza” della legge. Le due interpretazioni, molto diverse, sono i poli emotivi opposti della pellicola: lui è un catalizzatore di energie positive, imperfetto ma generoso, distratto ma costante nella presenza e nell’impegno. Lei è una donna inquieta, insoddisfatta, irrisolta, che reclama maggiori attenzioni ed un ruolo sociale più gratificante ed è disposta a tutto per ottenerli, persino all’atto più imperdonabile per una madre (l’abbandono del figlio). La Streep, sebbene poco presente in scena, è bravissima ad offrirci un personaggio complesso, debole, indefinibile nella parte iniziale, ma a cui l’evidente tormento interiore garantisce la giusta dose di umanità. L’impostazione della vicenda porta, inevitabilmente, a parteggiare per Ted, specialmente durante le fasi del processo, che, alla maniera americana, spettacolarizza i drammi della vita, rendendo “straordinarie” vicende in cui tanti, purtroppo, possono immedesimarsi. Il ribaltone finale, a quel punto inatteso, è il limite maggiore del film, l’obbedienza cieca al dogma del politicamente corretto (con annesso l’immancabile sentimentalismo strappalacrime) di cui Hollywood proprio non sa fare a meno. Grande successo di pubblico e pioggia di premi importanti, tra cui ben 5 Oscar, non tutti meritati ma tutti pesantissimi: miglior film, regia, sceneggiatura, Hoffman e Streep attori protagonisti. Il dato più sconcertante, che dovrebbe far riflettere, è che questo film ha strappato l’Oscar a capolavori come Apocalypse Now e All That Jazz; ma si sa che sulle grandi ingiustizie dell’Academy si potrebbe scrivere un’enciclopedia.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento