Ted
Kramer, agente pubblicitario, viene lasciato dalla moglie Johanna, in crisi
esistenziale, che abbandona il tetto coniugale, determinata a ricostruire la
sua vita. Ted, da sempre dedito al lavoro e poco incline alle quotidiane
faccende domestiche, dovrà occuparsi della crescita del piccolo Bill, unico
figlio della coppia, che la moglie, con evidenti problemi di depressione, non
ha esitato a lasciargli in custodia prima di partire. Tra molte difficoltà
iniziali, Ted riuscirà a cavarsela, costruendo un intenso rapporto con il
figlio, ma, a causa dei maggiori impegni familiari, perderà il lavoro per i ritardi
accumulati nella consegna di un importante progetto. Intanto Johanna si rifà
viva e chiede l’affidamento del bambino, provocando l’ira di Ted. La questione
finirà in tribunale, dando vita ad un’aspra “battaglia” tra i due, psicologica
ed umana prima che legale. Dramma familiare appassionato e accattivante, ben
scritto ed egregiamente recitato dall’ottimo cast, in cui spiccano i due
protagonisti: Dustin Hoffman, nel ruolo di un padre tenero e fragile, dotato di
una profonda carica umana, e Meryl Streep, nei panni della “cattiva” Johanna,
che abbandona la famiglia per risolvere i suoi problemi interiori, salvo poi
tornare a riprendersi il figlio con la “forza” della legge. Le due
interpretazioni, molto diverse, sono i poli emotivi opposti della pellicola:
lui è un catalizzatore di energie positive, imperfetto ma generoso, distratto
ma costante nella presenza e nell’impegno. Lei è una donna inquieta,
insoddisfatta, irrisolta, che reclama maggiori attenzioni ed un ruolo sociale
più gratificante ed è disposta a tutto per ottenerli, persino all’atto più
imperdonabile per una madre (l’abbandono del figlio). La Streep, sebbene poco
presente in scena, è bravissima ad offrirci un personaggio complesso, debole,
indefinibile nella parte iniziale, ma a cui l’evidente tormento interiore
garantisce la giusta dose di umanità. L’impostazione della vicenda porta,
inevitabilmente, a parteggiare per Ted, specialmente durante le fasi del
processo, che, alla maniera americana, spettacolarizza i drammi della vita,
rendendo “straordinarie” vicende in cui tanti, purtroppo, possono immedesimarsi.
Il ribaltone finale, a quel punto inatteso, è il limite maggiore del film,
l’obbedienza cieca al dogma del politicamente corretto (con annesso
l’immancabile sentimentalismo strappalacrime) di cui Hollywood proprio non sa
fare a meno. Grande successo di pubblico e pioggia di premi importanti, tra cui
ben 5 Oscar, non tutti meritati ma tutti pesantissimi: miglior film, regia,
sceneggiatura, Hoffman e Streep attori protagonisti. Il dato più sconcertante,
che dovrebbe far riflettere, è che questo film ha strappato l’Oscar a
capolavori come Apocalypse
Now e All
That Jazz; ma si sa che sulle grandi ingiustizie dell’Academy si
potrebbe scrivere un’enciclopedia.
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