New Orleans, 2005: mentre fuori impazza l'uragano Katrina, Daisy Fuller, un'anziana
donna in un letto d’ospedale, racconta alla figlia un'incredibile vicenda: la sua
grande storia d’amore con Benjamin Button, la cui straordinaria esistenza è a
metà strada tra lo scherzo della natura ed il miracolo prodigioso. La vita di Button,
figlio di un commerciante di bottoni e di una giovane donna morta di parto
mentre lo metteva al mondo, si è svolta al contrario, in regressione: nato come
un vecchio, con il corpicino pieno di artrosi e di tutte le patologie senili, è
andato gradualmente ringiovanendo con il passare degli anni, fino a morire come
un neonato, 85 anni dopo. Nel lungo flashback del racconto dell’anziana donna,
rivivremo le fasi principali dell’avventurosa parabola terrena di Benjamin, che
ha attraversato tutto il ‘900 americano incrociando più volte il suo destino
con quello di Daisy, tante volte perduta e sempre ritrovata. Adattando una
breve novella di Francis Scott Fitzgerald, Fincher realizza il suo film più
ambizioso, un melodramma dai toni fantastici che riflette sul tema del tempo,
attraverso il paradosso di due vite umane che s’incrociano, viaggiando però in
direzioni opposte, e potendo vivere pienamente il loro sentimento solo a metà
percorso, in quel tratto medio dove molti collocano la virtù. Sospendendo la
narrazione tra le nebbie della memoria, il racconto della vecchia Daisy,
stilisticamente reso tramite la patinata fotografia virata in seppia, e
conferendo all’opera una malinconica atmosfera surreale, l’autore intende
creare lo strappo, ideologico, tra passato e presente, facendo trionfare,
evidentemente, la nostalgia per il primo. La pretesa di tratteggiare, sullo
sfondo, la storia americana del secolo scorso nella straniante prospettiva al
contrario del protagonista, viene dissipata dalla messa in scena favolistica,
labile, eterea, priva dello spessore necessario per ancorare questa fiaba
rarefatta in un contesto storico preciso. Anche sul fronte allegorico le cose
non vanno meglio: il film vorrebbe essere la definitiva risposta all’atavica
domanda, che ogni uomo si pone, su come sarebbe la sua vita potendo tornare
indietro nel passato, con l’esperienza del presente. Ma l’intento fallisce per
la superficialità di una pellicola che evita gli approfondimenti filosofici e
le implicazioni spirituali del suo incredibile assunto narrativo, procedendo,
invece, per accumulo di situazioni ad effetto, puntando più sugli effetti
visivi che su una solida sceneggiatura, e contraendo evidenti debiti con il
cinema trasognato di Zemeckis, in particolare con Forrest
Gump, che è, però, ben più solido ed appassionante di questo incerto
lavoro di Fincher, in assoluto il più deludente ed il meno ispirato della sua
carriera. Conoscendo il regista e la sua notevole filmografia si ha le netta
sensazione di un progetto accettato “su commissione” e con scarso
coinvolgimento artistico. Dove, invece, il film risulta stupefacente è nei
superlativi effetti speciali in CGI, che hanno reso possibile il “miracolo” di
invecchiare Brad Pitt, per poi riportarlo, in maniera meno convincente,
all’adolescenza tramite le tecniche recitative digitali del performance capture. L’altra
protagonista, Cate Blanchett, ci regala, come sempre, un’interpretazione di
notevole spessore per eleganza, intensità e senso della misura. Il film ebbe
ben 13 candidature agli Oscar ma ne vinse solo 3 per l’eccellente reparto
tecnico. E’ un giocattolone macchinoso e calligrafico che cerca vanamente la
sua vera anima nei paradossi del tempo, trovando l’unico guizzo visionario
degno di nota nell’emblematica immagine finale: un vecchio orologio che va
all’indietro, prima di essere inghiottito dall’acqua del presente, la furia dell’uragano
Katrina.
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