Negli
anni ’50 due agenti federali, Teddy Daniels e Chuck Aule, vengono mandati via
nave presso l’istituto d’igiene mentale di Ashecliffe, sito nella remota
Shutter Island, al largo della East coast. Scopo del viaggio è indagare sulla
misteriosa scomparsa di una paziente, Rachel Solando, rinchiusa nell’istituto
per avere ucciso i suoi figli, che sembra essersi volatilizzata nel nulla.
Scontrandosi con i metodi non proprio ortodossi dei medici che guidano la
struttura, con la reticenza del personale di guardia e con un furioso uragano
che si abbatte sull’isola, i due detective si renderanno conto di essere
entrati in un mondo oscuro, che cela terribili segreti. Daniels, il più iracondo
tra i due, sente che il mistero che avvolge l’isola ha qualche connessione con
i suoi incubi ricorrenti, relativi ad agghiaccianti esperienze di guerra nei
campi nazisti ed alla tragica morte della giovane moglie. Dal romanzo “L'isola della paura” di Dennis Lehane,
Scorsese ha tratto un thriller psicologico cupo e labirintico, il cui andamento
tortuoso, che inquieta lo spettatore con un senso di minaccia incombente fin
dalle primissime sequenze, è la sinistra metafora degli abissi della mente
umana, degli oscuri percorsi nel mondo dell’inconscio nel tentativo di
raggiungere la “verità”. Tra atmosfere gotiche, personaggi inquietanti, luoghi
inaccessibili ed una fotografia virata in grigio che induce infauste
suggestioni, l’autore ci insinua in uno psico-rebus di torbida fascinazione,
che risulta appassionante nella prima parte, salvo poi lasciare l’amaro in
bocca nel finale, che vorrebbe essere a sorpresa, ma risulta, invece,
derivativo ed ampiamente prevedibile ad occhi attenti. E se la confezione
tecnica è pregevole, così come lo sono le interpretazioni di un cast notevole
che annovera, tra le sue file, Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley,
Michelle Williams, Patricia Clarkson e Max von Sydow, non si può dire
altrettanto della resa complessiva che risulta disomogenea, cervellotica e poco
originale nel suo incedere tumultuoso verso un “twist ending” ampiamente abusato. Più che un film di Scorsese, o un
film alla Scorsese, sembra essere un onesto lavoro su commissione, svolto con
mestiere ma privo dell’estro visivo e del carisma brillante delle opere
migliori. Il pubblico poco avvezzo ai thriller potrebbe gradire maggiormente,
invece gli esperti del settore possono tranquillamente stare alla larga. Più
che un film brutto è un film innocuo, inutile, che nulla aggiunge alla
filmografia del grande maestro americano.
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