lunedì 16 febbraio 2015

Shutter Island (Shutter Island, 2010) di Martin Scorsese

Negli anni ’50 due agenti federali, Teddy Daniels e Chuck Aule, vengono mandati via nave presso l’istituto d’igiene mentale di Ashecliffe, sito nella remota Shutter Island, al largo della East coast. Scopo del viaggio è indagare sulla misteriosa scomparsa di una paziente, Rachel Solando, rinchiusa nell’istituto per avere ucciso i suoi figli, che sembra essersi volatilizzata nel nulla. Scontrandosi con i metodi non proprio ortodossi dei medici che guidano la struttura, con la reticenza del personale di guardia e con un furioso uragano che si abbatte sull’isola, i due detective si renderanno conto di essere entrati in un mondo oscuro, che cela terribili segreti. Daniels, il più iracondo tra i due, sente che il mistero che avvolge l’isola ha qualche connessione con i suoi incubi ricorrenti, relativi ad agghiaccianti esperienze di guerra nei campi nazisti ed alla tragica morte della giovane moglie. Dal romanzo “L'isola della paura” di Dennis Lehane, Scorsese ha tratto un thriller psicologico cupo e labirintico, il cui andamento tortuoso, che inquieta lo spettatore con un senso di minaccia incombente fin dalle primissime sequenze, è la sinistra metafora degli abissi della mente umana, degli oscuri percorsi nel mondo dell’inconscio nel tentativo di raggiungere la “verità”. Tra atmosfere gotiche, personaggi inquietanti, luoghi inaccessibili ed una fotografia virata in grigio che induce infauste suggestioni, l’autore ci insinua in uno psico-rebus di torbida fascinazione, che risulta appassionante nella prima parte, salvo poi lasciare l’amaro in bocca nel finale, che vorrebbe essere a sorpresa, ma risulta, invece, derivativo ed ampiamente prevedibile ad occhi attenti. E se la confezione tecnica è pregevole, così come lo sono le interpretazioni di un cast notevole che annovera, tra le sue file, Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson e Max von Sydow, non si può dire altrettanto della resa complessiva che risulta disomogenea, cervellotica e poco originale nel suo incedere tumultuoso verso un “twist ending” ampiamente abusato. Più che un film di Scorsese, o un film alla Scorsese, sembra essere un onesto lavoro su commissione, svolto con mestiere ma privo dell’estro visivo e del carisma brillante delle opere migliori. Il pubblico poco avvezzo ai thriller potrebbe gradire maggiormente, invece gli esperti del settore possono tranquillamente stare alla larga. Più che un film brutto è un film innocuo, inutile, che nulla aggiunge alla filmografia del grande maestro americano.

Voto:
voto: 3/5

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