mercoledì 25 febbraio 2015

La famiglia (La famiglia, 1987) di Ettore Scola

Storia di una famiglia borghese romana nell’arco di 80 anni, dai primi del ‘900 alla fine degli anni ’80. Il protagonista narratore è Carlo, un anziano professore di lettere ormai in pensione, che rievoca, in flashback, attraverso nove segmenti narrativi principali, la sua vita e quella della sua famiglia. Tra le mura della casa nel cuore del quartiere Prati assistiamo ad amori, delusioni, litigi, speranze, ambizioni, segreti, che si susseguono nel corso di una vita mentre, al di fuori, scorrono i grandi eventi epocali: il fascismo, le guerre mondiali, l’Andrea Doria. Dramma corale e malinconico in forma, pudica, di saga familiare “in un interno”, perché il regista, tornando a fare il cinema che sa fare egregiamente e che lo ha reso famoso, effettua una precisa scelta stilistica: mostrare gli eventi sempre al riparo delle mura della grande casa romana, lasciando costantemente fuori la Storia, i cui accadimenti arrivano sempre, indirettamente, attraverso i racconti, i dialoghi, i comunicati a mezzo radiofonico o televisivo. Il tempo che passa, inesorabile, viene scandito, attraverso le nove parti del racconto (una per ciascun decennio), sul volto dei protagonisti che, a mano a mano, si trasforma impietosamente. Il loro naturale declino, guidato dal patriarca Carlo nella sua parabola esistenziale da bambino a nonno, è vissuto con garbo, con grazia, concedendosi solo struggenti punte di nostalgia. Con rigorosa lucidità ed asciutto lirismo, Scola esplora gli spazi scenici con lunghe carrellate, in avanti o all’indietro, che segnano sempre il passaggio da una stagione di vita all’altra, e scegliendo, emblematicamente, di aprire e chiudere il film con una fotografia, la sola traccia materiale delle memorie passate. Il senso intimo dell’opera, splendida ma non originale, perché il regista ha già trattato, e meglio, questi argomenti, è quello di mostrare il cambiamento dei costumi, della società, dell’economia, delle idee e finanche del cuore, attraverso un pregnante microcosmo simbolico, ovvero l’istituzione per eccellenza su cui si fonda la nostra storia: la famiglia. La granitica sceneggiatura, scritta dal regista con Maccari e Scarpelli, viene messa in scena con delicatezza, e trova il suo completo tripudio espressivo nelle grandi interpretazioni del cast straordinario, in cui spicca Vittorio Gassman, mattatore assoluto, e poi, a seguire, Stefania Sandrelli, Fanny Ardant, Massimo Dapporto, Philippe Noiret, Jo Champa, Sergio Castellitto. E’ l’ultimo grande film del regista avellinese, che, anche se non vale quanto i suoi due capolavori (C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare), resta comunque una pellicola importante, tra le migliori in assoluto del cinema italiano degli anni ’80. Il film fu candidato all’Oscar come miglior film straniero, ma gli venne preferito, per il premio finale, Il pranzo di Babette di Axel.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento