Storia
di una famiglia borghese romana nell’arco di 80 anni, dai primi del ‘900 alla
fine degli anni ’80. Il protagonista narratore è Carlo, un anziano professore
di lettere ormai in pensione, che rievoca, in flashback, attraverso nove
segmenti narrativi principali, la sua vita e quella della sua famiglia. Tra le
mura della casa nel cuore del quartiere Prati assistiamo ad amori, delusioni,
litigi, speranze, ambizioni, segreti, che si susseguono nel corso di una vita
mentre, al di fuori, scorrono i grandi eventi epocali: il fascismo, le guerre
mondiali, l’Andrea Doria. Dramma corale e malinconico in forma, pudica, di saga
familiare “in un interno”, perché il regista, tornando a fare il cinema che sa
fare egregiamente e che lo ha reso famoso, effettua una precisa scelta
stilistica: mostrare gli eventi sempre al riparo delle mura della grande casa
romana, lasciando costantemente fuori la Storia, i cui accadimenti arrivano sempre,
indirettamente, attraverso i racconti, i dialoghi, i comunicati a mezzo radiofonico
o televisivo. Il tempo che passa, inesorabile, viene scandito, attraverso le
nove parti del racconto (una per ciascun decennio), sul volto dei protagonisti
che, a mano a mano, si trasforma impietosamente. Il loro naturale declino,
guidato dal patriarca Carlo nella sua parabola esistenziale da bambino a nonno,
è vissuto con garbo, con grazia, concedendosi solo struggenti punte di
nostalgia. Con rigorosa lucidità ed asciutto lirismo, Scola esplora gli spazi
scenici con lunghe carrellate, in avanti o all’indietro, che segnano sempre il
passaggio da una stagione di vita all’altra, e scegliendo, emblematicamente, di
aprire e chiudere il film con una fotografia, la sola traccia materiale delle
memorie passate. Il senso intimo dell’opera, splendida ma non originale, perché
il regista ha già trattato, e meglio, questi argomenti, è quello di mostrare il
cambiamento dei costumi, della società, dell’economia, delle idee e finanche
del cuore, attraverso un pregnante microcosmo simbolico, ovvero l’istituzione
per eccellenza su cui si fonda la nostra storia: la famiglia. La granitica
sceneggiatura, scritta dal regista con Maccari e Scarpelli, viene messa in
scena con delicatezza, e trova il suo completo tripudio espressivo nelle grandi
interpretazioni del cast straordinario, in cui spicca Vittorio Gassman,
mattatore assoluto, e poi, a seguire, Stefania Sandrelli, Fanny Ardant, Massimo
Dapporto, Philippe Noiret, Jo Champa, Sergio Castellitto. E’ l’ultimo grande
film del regista avellinese, che, anche se non vale quanto i suoi due
capolavori (C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare), resta
comunque una pellicola importante, tra le migliori in assoluto del cinema
italiano degli anni ’80. Il film fu candidato all’Oscar come miglior film
straniero, ma gli venne preferito, per il premio finale, Il pranzo di Babette di Axel.
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