La
trilogia si chiude col botto, in termini di incassi, stratosferici, e
riconoscimenti: ben 11 premi Oscar vinti, eguagliando così il record di Ben-Hur
e di Titanic.
Nell’ultimo capitolo i tanti nodi vengono al pettine: Frodo viene tradito dal
perfido Gollum, che, per impossessarsi dell’anello, lo conduce nella tana di
Shelob, orrido mostro in forma di ragno gigantesco a cui nessuno è mai sfuggito.
Ma il piccolo hobbit si salverà grazie al fido Sam, che lo sosterrà fisicamente
e moralmente fino alla vetta del vulcano fatale. Aragorn, Gandalf e gli altri,
giunti nel regno di Gondor, di cui il primo è erede legittimo al trono,
dovranno combattere una disperata battaglia contro tutte le forze del male,
inviate da Sauron per annientare ogni resistenza. Dopo una vittoria insperata,
grazie all’aiuto decisivo di un esercito di fantasmi condannati da un’antica
maledizione, i nostri marciano su Mordor per sostenere l’impresa di Frodo, in
un ultimo decisivo scontro. Alla fine tutto andrà per il meglio: l’anello sarà
distrutto, grazie all’intervento involontario di Gollum, e Aragorn diventerà
re, ma il male lascerà tracce irreversibili nell’animo innocente di Frodo, che
sarà costretto a lasciare per sempre la Terra di Mezzo, segnando così la fine di
un’epoca. Nonostante la pioggia di premi e di consensi e l’oceanico successo di
pubblico, questo è il capitolo più debole della trilogia, perché paga lo scotto
di una sceneggiatura ipertrofica, confusa, ridondante di eventi, di battaglie e
di scene madri, creando così un inevitabile effetto di saturazione,
assuefazione e noia. Il gusto per l’eccesso dell’autore trova il suo nefasto
compimento nelle scene di guerra, sature di esagerazioni visive che provocano
stordimento, disperdendo le buone idee, che pure sono presenti in abbondanza,
in un mare di barocchismi sia estetici che narrativi. Il colpo di grazia
definitivo arriva nell’interminabile sequela di “finali” (ben cinque!),
dilatati fino all’inverosimile e patetici nella ricerca esasperata della facile
emozione, che causano disorientamento anche nel tolkieniano più incallito. L’innata
megalomania del regista neozelandese diventa qui delirio di onnipotenza,
finendo per affogare il film in un’orgia di effetti speciali che risultano
eccessivi, farraginosi e, a tratti, fasulli, quando assumono le sembianze caotiche
di un videogame. In tanta smisurata magniloquenza il momento più riuscito è in
una sequenza di basso profilo, resa in maniera geniale: un messaggio di guerra
trasmesso attraverso dei fuochi di segnalazione, che diventa un trionfo di
magia visiva. La grande avventura epica nella Terra di Mezzo si conclude qui,
e, visto l’esito elefantiaco di quest’ultimo episodio, è il caso di dire:
finalmente!
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