New
York, 1846: nel malfamato quartiere dei “Five Points” si combattono cruente
battaglie di strada tra le gang criminali, che rivendicano il diritto di
supremazia sul territorio. In una di queste, tra la banda dei “conigli morti”
di padre Vallon, che protegge e rappresenta gli immigrati irlandesi nella
“grande mela”, e quella dei “nativi americani”, guidata dallo spietato Billy
“il macellaio”, il piccolo figlio di Vallon assiste, inorridito, alla tragica
morte di suo padre, ucciso all’arma bianca dal suo acerrimo nemico. Sedici anni
dopo il piccolo Vallon, di nome Amsterdam, è un giovane uomo uscito dal
riformatorio, determinato a vendicare la morte del genitore. Riesce ad entrare
nelle grazie di Billy, che ne ignora l’identità e lo adotta come figlio
putativo, fino a quando l’impavido Amsterdam non esce allo scoperto e sfida
apertamente il suo nemico, per ridar vita alla stessa sanguinosa battaglia di
16 anni prima. Ma, intanto, è scoppiata la guerra civile contro gli stati
confederati e, per le strade di New York, ci sono i soldati dell’esercito
dell’unione impegnati a sedare una violenta rivolta popolare contro la legge
sulla coscrizione, che consente alle classi più abbienti di evitare
l’arruolamento obbligatorio tramite il pagamento di una liberatoria. La
sommossa, unita alla lotta tra le gang, ricoprirà di sangue le strade di
Manhattan. “L’America è nata nelle strade”
recita la tagline del film, svelandone chiaramente l’intento di affresco epico
che ricerca le radici fondanti di una nazione non nella gloria edificante o nel
patriottismo retorico, bensì nel sangue, nella violenza e nell’odio di un mondo
barbaro e brutale, popolato da oscuri antieroi dediti alla sopraffazione fisica
dell’avversario, crudeli figure mitologiche armate di coltello, che esibiscono
le proprie ferite con orgoglio ferino e che tengono il conteggio delle vittime
come attestato di merito. Con una gestazione complessa, un cast stellare
(Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis, Cameron Diaz, Liam Neeson, John C.
Reilly, Brendan Gleeson), un budget faraonico ed una produzione lunga e
travagliata (con la New York
ottocentesca ricostruita negli studi romani di Cinecittà), questo kolossal
vecchio stile voleva essere il film della vita di Martin Scorsese, il suo
progetto più ambizioso e, probabilmente, più sentito per evidenti ragioni
sentimentali e di affinità tematica. Ma, come spesso avviene in questi casi, le
elevate ambizioni iniziali non si sono tradotte completamente in un risultato
all’altezza delle aspettative. Scorsese lo ha diretto con enfasi furiosa, con
ardore e veemenza, con una messa in scena sontuosa e barocca, una ricostruzione
storico ambientale imponente, una miriade di citazioni al grande cinema epico
d’autore (da Ejzenstejn a Griffith, passando per John Ford e Sergio Leone),
regalandoci alcune sequenze memorabili, di straordinario spessore tragico e di
enorme potenza visiva, come le due battaglie che aprono e chiudono la
pellicola. In particolare quella iniziale, sulla neve, con il rosso del sangue
che ne imbratta il candore, è uno dei momenti topici del cinema scorsesiano, un
superbo incrocio tra brutale e mitico, solenne e crudele. Però il film presenta
altrettanti difetti: è discontinuo, disarticolato, alterna momenti alti a pause
imbarazzanti, è spesso eccessivo, ridondante, didascalico nel perseguire la sua
tesi efferata a discapito di ogni relativismo storico. E, se ciò non bastasse, ha
evidenti problemi di miscasting nei
ruoli principali: se Daniel Day-Lewis è, come al solito, titanico nei panni
dello spaventoso Billy “the butcher”,
Leonardo DiCaprio appare un po’ inesperto per un ruolo così impegnativo e pecca
spesso di “over acting” per cercare
di apparire credibile, mentre Cameron Diaz è totalmente inappropriata e fuori
parte, tra l’altro per un personaggio posticcio, probabilmente imposto dalla
produzione per scopi di addolcimento decorativo. Invece dai ruoli secondari
arrivano tutte conferme eccellenti, ad esempio Liam Neeson dimostra più carisma
di DiCaprio nei soli cinque minuti in cui resta in scena. Con questo film
grande, che però non è un grande film, si chiude definitivamente un’era della
carriera di Scorsese, che regola così tutti i sospesi con il suo passato di
innamorato del cinema dei grandi miti. La pellicola ebbe 10 candidature agli
Oscar 2003, senza vincerne nessuno.
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