domenica 8 febbraio 2015

Gangs of New York (Gangs of New York, 2002) di Martin Scorsese

New York, 1846: nel malfamato quartiere dei “Five Points” si combattono cruente battaglie di strada tra le gang criminali, che rivendicano il diritto di supremazia sul territorio. In una di queste, tra la banda dei “conigli morti” di padre Vallon, che protegge e rappresenta gli immigrati irlandesi nella “grande mela”, e quella dei “nativi americani”, guidata dallo spietato Billy “il macellaio”, il piccolo figlio di Vallon assiste, inorridito, alla tragica morte di suo padre, ucciso all’arma bianca dal suo acerrimo nemico. Sedici anni dopo il piccolo Vallon, di nome Amsterdam, è un giovane uomo uscito dal riformatorio, determinato a vendicare la morte del genitore. Riesce ad entrare nelle grazie di Billy, che ne ignora l’identità e lo adotta come figlio putativo, fino a quando l’impavido Amsterdam non esce allo scoperto e sfida apertamente il suo nemico, per ridar vita alla stessa sanguinosa battaglia di 16 anni prima. Ma, intanto, è scoppiata la guerra civile contro gli stati confederati e, per le strade di New York, ci sono i soldati dell’esercito dell’unione impegnati a sedare una violenta rivolta popolare contro la legge sulla coscrizione, che consente alle classi più abbienti di evitare l’arruolamento obbligatorio tramite il pagamento di una liberatoria. La sommossa, unita alla lotta tra le gang, ricoprirà di sangue le strade di Manhattan. “L’America è nata nelle strade” recita la tagline del film, svelandone chiaramente l’intento di affresco epico che ricerca le radici fondanti di una nazione non nella gloria edificante o nel patriottismo retorico, bensì nel sangue, nella violenza e nell’odio di un mondo barbaro e brutale, popolato da oscuri antieroi dediti alla sopraffazione fisica dell’avversario, crudeli figure mitologiche armate di coltello, che esibiscono le proprie ferite con orgoglio ferino e che tengono il conteggio delle vittime come attestato di merito. Con una gestazione complessa, un cast stellare (Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis, Cameron Diaz, Liam Neeson, John C. Reilly, Brendan Gleeson), un budget faraonico ed una produzione lunga e travagliata (con la New York ottocentesca ricostruita negli studi romani di Cinecittà), questo kolossal vecchio stile voleva essere il film della vita di Martin Scorsese, il suo progetto più ambizioso e, probabilmente, più sentito per evidenti ragioni sentimentali e di affinità tematica. Ma, come spesso avviene in questi casi, le elevate ambizioni iniziali non si sono tradotte completamente in un risultato all’altezza delle aspettative. Scorsese lo ha diretto con enfasi furiosa, con ardore e veemenza, con una messa in scena sontuosa e barocca, una ricostruzione storico ambientale imponente, una miriade di citazioni al grande cinema epico d’autore (da Ejzenstejn a Griffith, passando per John Ford e Sergio Leone), regalandoci alcune sequenze memorabili, di straordinario spessore tragico e di enorme potenza visiva, come le due battaglie che aprono e chiudono la pellicola. In particolare quella iniziale, sulla neve, con il rosso del sangue che ne imbratta il candore, è uno dei momenti topici del cinema scorsesiano, un superbo incrocio tra brutale e mitico, solenne e crudele. Però il film presenta altrettanti difetti: è discontinuo, disarticolato, alterna momenti alti a pause imbarazzanti, è spesso eccessivo, ridondante, didascalico nel perseguire la sua tesi efferata a discapito di ogni relativismo storico. E, se ciò non bastasse, ha evidenti problemi di miscasting nei ruoli principali: se Daniel Day-Lewis è, come al solito, titanico nei panni dello spaventoso Billy “the butcher”, Leonardo DiCaprio appare un po’ inesperto per un ruolo così impegnativo e pecca spesso di “over acting” per cercare di apparire credibile, mentre Cameron Diaz è totalmente inappropriata e fuori parte, tra l’altro per un personaggio posticcio, probabilmente imposto dalla produzione per scopi di addolcimento decorativo. Invece dai ruoli secondari arrivano tutte conferme eccellenti, ad esempio Liam Neeson dimostra più carisma di DiCaprio nei soli cinque minuti in cui resta in scena. Con questo film grande, che però non è un grande film, si chiude definitivamente un’era della carriera di Scorsese, che regola così tutti i sospesi con il suo passato di innamorato del cinema dei grandi miti. La pellicola ebbe 10 candidature agli Oscar 2003, senza vincerne nessuno.

Voto:
voto: 3,5/5

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