Otto
storie diverse nella Los Angeles contemporanea, che s’intrecciano e si allontanano
casualmente, seguendo gli arabeschi del destino: un regista di colore e la sua
bella moglie, uno sbirro razzista dedito al vecchio padre malato, una coppia
della middle class agiata, con lui
rampante e lei annoiata, un commerciante persiano che compra una pistola per
difendere la sua bottega dai furti, un ispanico e la sua dolce bambina che ha
paura dei “cattivi”, due detective che si amano con passione ma non trovano
un’intesa fuori dal letto, due sbandati di colore, logorroici e sguaiati,
dediti ai furti di auto di valore, una famiglia cinese vittima dello
sfruttamento del lavoro nero. Paul Haggis dirige con mano sicura questo dolente
affresco antropologico corale, affascinante nell’intreccio, cupo nei toni, ben
scritto ed egregiamente interpretato. Una Babele alla deriva descritta con
feroce lucidità, senza enfasi gratuita, con un linguaggio avvolgente ed
attuale, in sintonia con la sensibilità moderna. Il tema comune è il razzismo,
la paura del diverso che porta alla violenza, al sopruso, all’ingiustizia, in
una metropoli affollata e multietnica come la “città degli angeli”, in cui il
contatto fisico (il “crash” del titolo originale) è inevitabile. La visione
edulcorata e tranquillizzante dell’american
way of life appare lontana anni luce: nella giungla urbana tutti, ricchi o
poveri, bianchi o neri, vittime e carnefici, vivono appartati, chiusi nel
proprio egoismo, intenti a difendere il proprio spazio, diffidando del vicino.
Il secondo tema del film è l’isolamento nelle grandi metropoli occidentali, in
un mondo in cui l’interconnessione è tutto, si è, paradossalmente, più soli,
incapaci di comunicare con il prossimo. Il quadro d’insieme è amaro ma sincero,
vibrante e senza moralismi, con un paio di scene madri di grande impatto
emozionale. Grandi meriti vanno dati al sontuoso cast corale, in cui gli attori
sono tutti bravissimi: Don Cheadle, Matt Dillon, Terrence Howard, Sandra
Bullock, Brendan Fraser, Jennifer Esposito, Ryan Phillippe, Thandie Newton. Ha
vinto 3 Oscar importanti su 6 candidature: miglior film, sceneggiatura
originale e montaggio. E’ sicuramente da vedere, anche se queste cose sono già
state fatte, e meglio, da Robert Altman e Paul Thomas Anderson.
Voto:
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