lunedì 9 febbraio 2015

Lost in Translation - L'amore tradotto (Lost in Translation, 2003) di Sofia Coppola

Bob è un divo americano di mezza età, ormai un po’ logoro, in declino, sagace ma tendente al malinconico, in trasferta a Tokyo per girare degli spot pubblicitari, non esattamente gratificanti dal punto di vista professionale. Perso in un mondo che non capisce, di cui non conosce la lingua e che lo intimorisce nel suo enorme contrasto tra tradizioni antichissime e modernità futuristica, Bob incontra la giovane connazionale Charlotte, bella e delusa, lasciata sempre sola dal marito, fotografo di moda, costantemente ingabbiato nel suo stressante lavoro. Dall’incontro di due solitudini nascerà una strana e tenera relazione platonica, fatta di complicità ed ironia, sguardi significativi e parole non dette, allusioni garbate ed una costante punta di nostalgia per l’incapacità di abbandonarsi completamente ai propri desideri. Gustosa commedia romantica di Sofia Coppola, al suo secondo lungometraggio, e grande successo di pubblico e critica, per quello che è il suo film migliore. La forza principale dell’opera risiede nella sua lievezza, nel tocco raffinato, ma non privo di  patina, con cui sospende i due protagonisti, un eccellente Bill Murray ed un’acerba Scarlett Johansson, in un limbo di surreale sospensione, ovvero lo straniamento di chi si sente sperduto in una cultura straniera, ammaliante ed ermetica al tempo stesso, e si trova a fare i conti con la propria vita, dando ascolto, proprio grazie al forzato isolamento interiore, ad un disagio probabilmente ben più profondo e intimo, che parte da problemi esistenziali di più generale portata. La sottile malinconia dei due “amanti” mancati è la forza, ma anche la debolezza, del loro singolare rapporto, intriso di un romanticismo garbato e mai banale, che non sfocia nel rapporto sessuale, come sarebbe stato logico attendersi, ed evita, fortunatamente, le trappole di un mieloso sentimentalismo retorico. Limitandosi appena a sfiorare l’universo emotivo di Bob e Charlotte, l’autrice intende evidenziare la purezza, e, quindi, l’unicità del rapporto, attraverso la rinuncia ad abbandonarsi all’evidente attrazione, in nome di quel reciproco tormento interiore che, se da un lato ne ha favorito l’avvicinamento, dall’altro ha prodotto la silenziosa implosione di un sentimento impossibile, intimorito dalle enormi differenze tra i due. Questo film delicato e rarefatto, affascinante quanto esile, poggia interamente sulle spalle di un Bill Murray in stato di grazia e si avvale di una suggestiva fotografia “al neon” che ne accentua il senso di smarrimento. La scena migliore è quella finale, il tenero congedo tra i due “amici” da cui la Coppola, con geniale pudore, ci mantiene esclusi, impedendoci di ascoltare le parole sussurrate da Bob all’orecchio di Charlotte. In un mondo frenetico e sfrenato, che vive, brucia e consuma tutto al massimo, con ingorda voracità, una “banale” storia di condivisione spirituale, affinità elettive, passioni a fior di pelle ed amori inespressi, può essere la giusta risposta, la maniera migliore per toccare il cuore del pubblico, con semplicità. I risultati al botteghino, gli elogi della critica e l’Oscar a Sofia Coppola per la migliore sceneggiatura originale, su quattro candidature “pesanti”, ne sono la riprova. Consigliato a chi ricerca un’evasione romantica raffinata, intelligente ed originale.

Voto:
voto: 4/5

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