martedì 3 febbraio 2015

Heimat (Heimat, 1984) di Edgar Reitz

Storia della famiglia Simon, dal 1919 al 1982, ambientata nel piccolo villaggio rurale, e immaginario, di Schabbach, nella zona occidentale della Germania. Il film è diviso in 11 episodi (“Nostalgia di terre lontane”, “Il centro del mondo”, “Natale come mai fino allora”, “Via delle alture del Reich”, “Scappato via e ritornato”, “Fronte interno”, “L'amore dei soldati”, “L'americano”, “Hermannchen”, “Gli anni ruggenti”, “La festa dei vivi e dei morti”) ed intende narrare 60 anni di storia tedesca, sovrapponendola alle vicende familiari, tra epica e realismo, bianco e nero e colore, romanzo e documento, Goethe e Proust. La parola “heimat”, in tedesco, significa patria: intesa, in modo viscerale, come radici, appartenenza profonda, origine ancestrale a cui non si può non ritornare e già questo lascia presagire la struttura imponente e la partecipazione emotiva dell’autore a quest’opera titanica, straordinaria, magniloquente, un unicum nella storia del cinema per dimensioni ed ampiezza di concezione. Partendo da memorie in parte autobiografiche, l’autore mette in scena la Storia, in questo caso germanica, dal punto di vista degli umili, con un film realistico, ambizioso e denso di anima, che rifugge ogni tentazione agiografica ed ogni celebrazione edificante, in favore di una fertile ambiguità tematica, che obbedisce ad un sobrio verismo. La saga dei Simon ha il respiro epico, il potere immaginifico e la forza rievocativa del grande cinema sovietico, riattualizzato alla sensibilità contemporanea, con un uso intelligente ed obiettivo dell’autocritica storica, che consente una generale immedesimazione nello spirito dell’opera ed una concreta riappropriazione della memoria collettiva. La lunga durata consente al regista una scrupolosa indagine psicologica di tutti i personaggi ed il continuo passaggio, in ellissi narrative, dalle vicende familiari quotidiane ai momenti topici di cronaca storica nazionale, rende l’opera una colossale sinfonia corale, un affresco mitico di fulgida bellezza e di struggente densità tematica. I singoli episodi, per quanto parti di un discorso ben più ampio e articolato, sono quasi autoconsistenti nella loro lucida collocazione ambientale e sociale, a merito ulteriore di un sopraffino lavoro di sceneggiatura. L’elemento centrale della pellicola è il tempo, inteso in senso proustiano, quasi “piegato” alla prospettiva dei personaggi, attraverso i cui occhi tutti gli eventi, piccoli e grandi, ci vengono narrati, ed i cui volti, in particolar modo quelli delle donne, fanno da lavagna su cui esso, sovrano, scrive i grandi passaggi della storia. Tra alti e bassi, inevitabili in un film di tale durata, i momenti di grande cinema si sprecano, specialmente nella prima metà dell’opera. Alla sua uscita ebbe un plebiscito di consensi da parte della critica ed è uno dei film più lunghi della storia del cinema, ben 15 ore e 24 minuti. Il regista , visto anche il grande successo di pubblico in patria, ha dato vita ad un’autentica saga, seguita da Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza (1992) , Heimat 3 - Cronaca di una svolta epocale (2004) ed il prequel Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht (2013). Il secondo film del 1992 supera per lunghezza il primo, arrivando addirittura a 25 ore e 32 minuti. E’ uno di quei film impegnativi per la loro imponenza, la cui visione è un’autentica maratona cinematografica, ma è da vedere, obbligatoriamente, almeno una volta nella vita.

Voto:
voto: 5/5

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