Storia della famiglia Simon, dal 1919 al
1982, ambientata nel piccolo villaggio rurale, e immaginario, di Schabbach,
nella zona occidentale della Germania. Il film è diviso in 11 episodi (“Nostalgia di terre lontane”, “Il centro
del mondo”, “Natale come mai fino allora”, “Via delle alture del Reich”,
“Scappato via e ritornato”, “Fronte interno”, “L'amore dei soldati”,
“L'americano”, “Hermannchen”, “Gli anni ruggenti”, “La festa dei vivi e dei
morti”) ed intende narrare 60 anni di storia tedesca, sovrapponendola alle
vicende familiari, tra epica e realismo, bianco e nero e colore, romanzo e
documento, Goethe e Proust. La parola “heimat”,
in tedesco, significa patria: intesa,
in modo viscerale, come radici, appartenenza profonda, origine ancestrale a cui
non si può non ritornare e già questo lascia presagire la struttura imponente e
la partecipazione emotiva dell’autore a quest’opera titanica, straordinaria,
magniloquente, un unicum nella storia
del cinema per dimensioni ed ampiezza di concezione. Partendo da memorie in
parte autobiografiche, l’autore mette in scena la Storia, in questo caso
germanica, dal punto di vista degli umili, con un film realistico, ambizioso e denso
di anima, che rifugge ogni tentazione agiografica ed ogni celebrazione
edificante, in favore di una fertile ambiguità tematica, che obbedisce ad un
sobrio verismo. La saga dei Simon ha il respiro epico, il potere immaginifico e
la forza rievocativa del grande cinema sovietico, riattualizzato alla
sensibilità contemporanea, con un uso intelligente ed obiettivo
dell’autocritica storica, che consente una generale immedesimazione nello
spirito dell’opera ed una concreta riappropriazione della memoria collettiva.
La lunga durata consente al regista una scrupolosa indagine psicologica di
tutti i personaggi ed il continuo passaggio, in ellissi narrative, dalle
vicende familiari quotidiane ai momenti topici di cronaca storica nazionale,
rende l’opera una colossale sinfonia corale, un affresco mitico di fulgida
bellezza e di struggente densità tematica. I singoli episodi, per quanto parti
di un discorso ben più ampio e articolato, sono quasi autoconsistenti nella
loro lucida collocazione ambientale e sociale, a merito ulteriore di un
sopraffino lavoro di sceneggiatura. L’elemento centrale della pellicola è il
tempo, inteso in senso proustiano, quasi “piegato” alla prospettiva dei
personaggi, attraverso i cui occhi tutti gli eventi, piccoli e grandi, ci
vengono narrati, ed i cui volti, in particolar modo quelli delle donne, fanno
da lavagna su cui esso, sovrano, scrive i grandi passaggi della storia. Tra
alti e bassi, inevitabili in un film di tale durata, i momenti di grande cinema
si sprecano, specialmente nella prima metà dell’opera. Alla sua uscita ebbe un
plebiscito di consensi da parte della critica ed è uno dei film più lunghi
della storia del cinema, ben 15 ore e 24 minuti. Il regista , visto anche il
grande successo di pubblico in patria, ha dato vita ad un’autentica saga,
seguita da Heimat 2 - Cronaca di una
giovinezza (1992) , Heimat 3 -
Cronaca di una svolta epocale (2004) ed il prequel Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht (2013). Il secondo film
del 1992 supera per lunghezza il primo, arrivando addirittura a 25 ore e 32
minuti. E’ uno di quei film impegnativi per la loro imponenza, la cui visione è
un’autentica maratona cinematografica, ma è da vedere, obbligatoriamente,
almeno una volta nella vita.
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