martedì 24 febbraio 2015

Una pura formalità (Una pura formalità, 1994) di Giuseppe Tornatore

Una notte buia e tempestosa, un bosco tenebroso, un colpo di pistola, un uomo che fugge sotto la pioggia battente. La sua corsa si conclude in una fatiscente stazione di polizia, dove uno zelante e serafico commissario lo interroga fino allo sfinimento, accusandolo di omicidio. L’uomo nega ogni addebito e dice di essere un famoso scrittore, ma non riesce a ricordare che cosa ha fatto nelle ultime ore. La lunga notte svelerà tutti i misteri. Ambizioso dramma kafkiano sotto forma di mistery allucinato, di struttura teatrale per l’uso massiccio di dialoghi, l’unità di tempo e di luogo, denso di atmosfere inquietanti sospese tra realtà e sogno, è un unicum nella filmografia di Tornatore, una sorta di esperimento metafisico che denota un lungo e non banale lavoro preparatorio di scrittura. E’ un film indubbiamente affascinante, a suo modo intrigante per l’alone di mistero che lo accompagna fin dalle prime immagini, un’opera notturna, pirandelliana, con tratti da incubo e personaggi carismatici, evidentemente simbolici, egregiamente interpretati da un cast di stelle: Gérard Depardieu nel ruolo dello scrittore accusato, Roman Polanski in quelli del commissario e Sergio Rubini, come giovane gendarme dai modi gentili. E’ una di quelle pellicole da vedere “al buio”, ovvero sapendo il meno possibile della trama, lasciandosi trasportare dalla sua malia ipnotica per poi ragionare, a visione ultimata, sulle possibili conclusioni. Più che narrare un’autentica storia, l’opera intende suggerire un’idea, indurre una riflessione sul senso stesso del vivere umano, attraverso le sue immagini ambigue, spettrali, distorte sotto la lente di un delirio onirico. Il titolo allegorico gioca abilmente a due livelli, con il lungo interrogatorio, solo in apparenza rassicurante, che costituisce il cuore della vicenda e con la struttura stessa del film, ad evidente sospetto di esercizio stilistico costruito sulla negazione delle immagini, innescando quindi la classica dicotomia tra finzione e realtà. Paradossale nelle conclusioni, artificioso nelle svolte, quanto sagace nell’intreccio, è una pellicola senza mezze misure, da prendere o da lasciare. Sono invece innegabili il suo coraggio, la sua struttura sperimentale, l’ermetismo oscuro delle scene madri e la grande interpretazione degli attori, perfetti nei rispettivi ruoli, dove il minuto Polanski e l’imponente Depardieu sono gli aghi della bilancia del destino, in una sfida allegorica che ha evidenti ambizioni trascendenti. La canzone “Ricordare”, che si può ascoltare sui titoli di coda, è composta da Ennio Morricone e cantata, in italiano, dallo stesso Depardieu.

Voto:
voto: 4/5

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