Il 17-esimo lungometraggio del truce regista olandese Paul Verhoeven, da molti atteso come scandalo annunciato del 74° Festival di Cannes, è un dramma biografico ispirato alla vita della suora italiana Benedetta Carlini, vissuta in convento a Pescia (Toscana) nel '600 e ampiamente controversa. Per alcuni era una mistica veggente ispirata da visioni del Cristo, da cui ricevette anche le stimmate, per altri era un'abile manipolatrice dotata di buona favella e naturale carisma, grazie ai quali riuscì ad ingannare tutti sfruttando l'ignoranza e le superstizioni ampiamente diffuse in quei tempi di oscurantismo e di fanatismo. Quello che viene dato per certo è il rapporto carnale omosessuale da lei intrattenuto con una giovane novizia che suscitò grande clamore. Ispirandosi liberamente al saggio storico "Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento" di Judith C. Brown, Verhoeven si è tuffato con entusiasmo in questa storia ambigua, fosca e sordida, evidentemente attratto dal suo lato morboso, dal suo potenziale scandaloso e dai suoi numerosi risvolti politici e religiosi. Benedetta entra a 9 anni in convento per un voto fatto dai genitori alla Vergine Maria, che l'ha "miracolosamente" salvata alla sua nascita. Fin da subito dimostra capacità intellettive superiori alla media, una bellezza fisica fuori dal comune, un'ars oratoria eccellente e presunti poteri mistici che fanno gridare alla "santità". La comparsa delle stimmate, le visioni di Gesù e le doti di preveggenza la rendono amata dal popolo, oggetto di interesse delle alte sfere ecclesiastiche e la mettono in competizione con la rigida madre superiora del convento. Con l'aumentare dei "miracoli", Benedetta brucia le tappe e viene promossa badessa, rimpiazzando la vecchia rivale alla guida del cenobio. L'incontro con la giovane Bartolomea, da lei ammessa nella comunità per salvarla dalle grinfie di un padre orco che abusava di lei, le fa scoprire i piaceri della carne, dando inizio ad una passionale relazione sessuale. Scoperta e denunciata dalle sue avversarie, la donna è costretta a difendersi, mentre la città è sconvolta dall'ombra della peste nera e dalla venuta di un viscido nunzio apostolico, potente e corrotto, chiamato a processare Benedetta per i suoi peccati utilizzando i metodi sadici della Controriforma. Nel 1970 il "diabolico" Ken Russell aveva già detto tutto sull'argomento, in maniera scioccante e definitiva, con il suo capolavoro "maledetto" I diavoli (The Devils), uno dei film più censurati della storia del cinema per i suoi temi scottanti e per i suoi modi "blasfemi". Era dunque necessario, oggi come oggi, un film del genere? La risposta è ovviamente no. Specialmente se poi il risultato si traduce in un grossolano accumulo di horror religioso, erotismo pruriginoso, delirio misticheggiante, trash involontario, becero sensazionalismo eretico e la consueta fiera di corpi, violenza, sesso e sangue tipica del regista (che invero qui abbonda oltremodo nell'esibizione di effluvi organici). Con un tono grottesco fortunatamente quasi mai serioso, Verhoeven declina la sua poetica dello scandalo programmatico con il chiaro intento di tracciare un libello polemico contro la Chiesa e i suoi corrotti giochi di potere, puntando il dito contro tutte le perversioni, iniquità, inganni e crimini da essa commessi in nome della fede. Ma tutto resta nell'alveo delle intenzioni perchè la critica si ferma alla superficie e non riesce mai ad affondare realmente il colpo, disperdendosi tra effettismi strumentali e momenti camp che rasentano il ridicolo (basti citare le visioni cristologiche di Benedetta o la statuetta della Madonna adattata a sex toy). La presunta oscenità ricercata dal regista come il pane quotidiano è schematica, turgida, forzata, compiaciuta e quindi sterile, innocua, più goffa che pungente, esattamente come il film. Da salvare l'efficace ricostruzione scenografica ambientale (le riprese si sono svolte principalmente a Montepulciano e a La Roque-d'Anthéron) e la credibile interpretazione delle attrici principali (Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphne Patakia). Tra un "amen" ed un "abiuro" resta la retorica domanda iniziale: era davvero necessario?
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