Londra, 1981. Quattro operai polacchi guidati dall'esperto elettricista Nowak arrivano in città per ristrutturare la casa di un ricco compatriota. Trattandosi di un lavoro abusivo Nowak ordina agli altri di non lasciare mai l'appartamento per tutta la durata dell'incarico in modo da evitare problemi, anche perchè solo lui parla la lingua inglese mentre i suoi colleghi non capiscono nemmeno una parola. In quel periodo la Polonia è scossa da scontri civili e scioperi che culminano nella dichiarazione della legge marziale, nel colpo di stato di Jaruzelski e negli arresti di massa di tutti i dissidenti. Preoccupato dalla situazione Nowak decide di non condividere le informazioni con gli altri, in modo da garantire la buona esecuzione dei lavori. Questo solido dramma politico, scritto e diretto da Jerzy Skolimowski, è un film teso e angosciante, narrativamente semplice, dal ritmo lento, ma capace di costruire una vibrante suspense psicologica grazie all'accuratezza della sceneggiatura, alla regia appassionata (Skolimowski era un esule polacco all'estero), alla capacità di creare un microcosmo di intensa tensione sociale nello spazio angusto di un appartamento e alla grande bravura del protagonista Jeremy Irons, che ci offre una interpretazione di sottile tormento. Anche se la Storia non si vede mai in maniera diretta, ne percepiamo gli effetti nello sguardo e negli atteggiamenti di Nowak, alter ego del regista che ha inserito nell'opera molte sensazioni vissute personalmente sulla propria pelle. E' una pellicola amara dai toni grigi, con l'ombra della sconfitta, della solitudine e della paura del futuro che aleggia in ogni scena come un fantasma minaccioso che si fa percepire con pesantezza pur senza mai esplicitarsi. L'autore è bravissimo a mantenere sempre alto il patos, mitigandolo con qualche inserto ironico di natura sarcastica, senza mai ricorrere ad effettismi banali o a colpi di teatro retorici, ma facendo "parlare" le emozioni che affiorano dai volti dei personaggi e dai dialoghi secchi, con lo spettatore che si trova nella prospettiva di Nowak e quindi sa ciò che gli altri ignorano. Realizzato in un mese e mezzo (tra scrittura e riprese) con un budget esiguo, è un esempio mirabile di come trarre il massimo dal minimo, grazie a ricchezza di idee, chiarezza di visione e sintesi drammaturgica. Ha vinto il Prix du scénario (alla sceneggiatura di Jerzy Skolimowski) al Festival di Cannes ed è una delle vette indiscusse della filmografia del regista di Lodz. Riesce a dare una densa forma tragica al concetto di esule, intimamente sofferente per la grave situazione del suo paese e temporaneamente sradicato in una terra straniera che avverte come aliena, diffidente, ostile.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento